DAVID DI DONATELLO, “LA VITA DAVANTI A SÉ”: BASTA UNA GRANDE ATTRICE A SALVARE UN FILM?

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di Mariantonietta Losanno 

Bari vecchia. Madame Rosa, un’ebrea sopravvissuta all’Olocausto, per sopravvivere ospita nel suo appartamento bambini in difficoltà. Prende con sé anche un ladruncolo che l’aveva derubata e rompe, pian piano, la sua barriera di sfiducia nei suoi confronti, fino a che, con il tempo, sarà lui ad occuparsi di lei quando sarà devastata dai ricordi e dalla demenza senile. 

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Un messaggio semplice, di tolleranza e di amore. “Tutti abbiamo il diritto di essere amati, che i nostri sogni si realizzino”, ha detto Sophia Loren. 

“La vita davanti a sé” è la trasposizione al giorno d’oggi di uno dei romanzi francesi più famosi del ‘900. Ha ottenuto una candidatura ai Premi Oscar, è stato premiato ai Nastri d’Argento ed ha vinto un David di Donatello. Una trasposizione semplice, forse fin troppo. Però, per un’attrice come Sophia Loren – che appartiene alla “vecchia scuola” – è una rivoluzione importante. Soprattutto perché, dopo che per anni è stata lontana dal cinema torna (proprio) nelle vesti di una donna segnata dalla guerra. Impossibile non pensare alle sue interpretazioni ne “Una giornata particolare” o “La ciociara”. Sono ruoli e contesti che le risultano familiari e in cui può muoversi senza alcun timore. Perché di un’attrice – e di una donna – come Sophia Loren non c’è niente da dire. Commentare il suo spessore (e bisogna ribadire spessore come attrice e come donna) sarebbe superfluo; però, forse, quello che si potrebbe dire è che nonostante “ne valesse la pena” (così come la stessa Loren ha dichiarato), “La vita davanti a sé” non si eleva solo per la presenza di una grande attrice. Quando si parla di grandissime star del cinema l’età non conta nulla e c’è una dote naturale (e poi affinata con il tempo) che è la presenza: il film ruota intorno a Sophia Loren e, forse, la sua presenza è così forte da far dimenticare tutto il resto. Il ruolo che interpreta si lega a quelli più famosi della sua carriera (e sembra sommare diversi aspetti della recitazione che l’hanno resa indimenticabile) ma il tono più silenzioso rispetto a quello che l’aveva caratterizzata. Si avverte qualcosa di forzato ed eccessivo, come se quegli stessi ruoli non le si adattassero più così alla perfezione. Qualcosa è cambiato, e “La vita davanti a sé” lo dimostra. Momò resta sullo sfondo, quando dovrebbe essere “la vita che ha davanti” ad avere un ruolo fondamentale all’interno della vicenda. 

0AB80829 655B 4963 A59B 7BC17BE74634 300x174 DAVID DI DONATELLO, “LA VITA DAVANTI A SÉ”: BASTA UNA GRANDE ATTRICE A SALVARE UN FILM?

Il film è costruito su misura della Loren, ma la regia è troppo dimessa, i dialoghi – per quanto credibili – sono convenzionali, e il racconto è eccessivamente permeato da una retorica didascalica. Nonostante si focalizzi sulla solitudine, sull’amore e sulla solidarietà, “La vita davanti a sé” lascia che i suoi temi di portata universale restino osservati solo in superficie. Dovrebbe emergere l’importanza dei legami significativi tra le persone, quelli che nascono tra individui che hanno in comune un trascorso di dolore ed emarginazione. E invece è Madame Rosa, personaggio definitivo in cui si fondano tutte le migliori caratteristiche che hanno contraddistinto la Loren nel corso della sua carriera, a “coprire” tutto il resto. S’impadronisce dello schermo: il suo personaggio rappresenta il punto più forte e solido dell’opera, ma al tempo stesso quello che la rende poco incisiva. Madame Rosa trasmette malinconia, non solo per ciò che è stato la Loren, ma per quello che il cinema italiano rappresenta oggi, nonostante si cerchi ancora di emulare quello che è stato. Però, l’intento del regista (figlio della stessa attrice e che ritorna alla regia di un lungometraggio dopo “Cuori estranei”) sembra sincero: usare il dolore come uno strumento capace di legare il passato al presente. “La vita davanti a sé” – paradossalmente – si dimostra “giusto” in tutto: nel ritorno di Sophia Loren, nella regia onesta e sincera, nelle tematiche attuali e spesso scomode trattate, ma eccessivamente standardizzato. Edoardo Ponti ci conduce in un viaggio indietro nel tempo ad un’epoca che il cinema ha dimenticato e che ha smesso di fare da troppo tempo.