“MON ROI – IL MIO RE”: GLI STEREOTIPI DELL’“AMOUR FOU”

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di Mariantonietta Losanno 

“Je vous souhaite d’être follement aimée”, scrive André Breton nel suo racconto autobiografico “L’Amour fou”, descrivendo quell’amore totale e travolgente oppresso dalla ripetitività della vita quotidiana e dalla pressione delle convenzioni sociali. 

Ed è proprio “amour fou” quello tra Georgio e Tony che, in “Mon roi”, Maïwenn sceglie di analizzare a ritroso. Si parte dalla clinica di riabilitazione dove Tony è ricoverata per via di un incidente sugli sci: una scelta funzionale per far procedere in parallelo il percorso di rieducazione ortopedica a quello della storia d’amore. Tony deve riacquistare forza per poter tornare a camminare dopo aver subito un trauma al ginocchio; al tempo stesso, deve far risanare anche tutte quelle “fratture” nel rapporto di coppia. 

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La prima necessaria riflessione è quella sull’“idea” di Amore. Qual è il confine tra la passione e la follia? Maïwenn si muove su un terreno molto pericoloso, analizzando, da un lato, il disturbo narcisistico di personalità di Georgio e, dall’altro – non meno importante – la passività autodistruttiva di Tony. Nonostante i toni vengano esasperati, quella di “Mon roi” è – purtroppo – una storia d’amore come troppe. E sembra che la regista abbia proprio l’intenzione di calcare la mano sulle loro complessità: Georgio è un uomo affascinante, seducente, che “sa come amare”; Tony è, invece, una donna indipendente sul lavoro, ma bisognosa d’amore. Ne viene fuori, irrimediabilmente, un rapporto di dipendenza. Come si arriva ad amare in questo modo? Quand’è che Tony ha consentito a se stessa di vivere una storia così soffocante e distruttiva? Quel processo di guarigione, allora, è l’occasione per mettere a fuoco e riuscire a comprendere e a riconoscere il “dolore”; non è un caso, infatti, che la regista accosti il dolore fisico a quello emotivo. Se bisogna riflettere su cosa sia l’Amore “giusto”, bisognerebbe soffermarsi anche sul grado di dolore che è “giusto” tollerare. Se quello fisico è un dolore facilmente riconoscibile, quello dell’“anima” non lo è altrettanto e spesso si accettano (inconsciamente) comportamenti e ci si auto-infligge sofferenza, cercando di giustificare i comportamenti del proprio compagno. “Mon roi”, a partire proprio dal titolo che simboleggia un’idea di superiorità, insiste sulla dinamica di un rapporto in cui si alternano ruoli differenti: da una parte c’è la vittima, dall’altra c’è il salvatore/persecutore. Nel momento stesso in cui Georgio “salva” Tony (o, meglio, lei crede che lui la stia salvando e, soprattutto, che necessiti di essere salvata da un uomo), diventa il suo persecutore perché la convince delle sue insicurezze e della sua inferiorità. 

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Quand’è che una forte complicità si trasforma in una devastante conflittualità? Cosa rende un amore prima così intenso e poi così distruttivo? E ancora, perché molte donne sentono la necessità di completarsi con la presenza di un uomo? Tony è un’avvocatessa di successo, è una donna competitiva nel lavoro e affascinante nella sfera privata: perché sente, allora, il bisogno di “elemosinare” l’affetto di un uomo fiero del suo egoismo e pieno di sé? Forse, allora, dopo un’analisi accurata, si potrebbe anche venire alla conclusione che non si può parlare di amore quando una donna è innamorata di un uomo che crea in lei solo sofferenza e fragilità e quando guarda il suo compagno soltanto “attraverso i suoi occhi” e quindi lo trasfigura secondo i suoi sentimenti. “Mon roi” analizza gli aspetti più violenti e sadici di un rapporto in cui un uomo – un “re” che non ha nulla di glorioso – è incline alla manipolazione, all’abuso psicologico, al possesso: sottoponendosi al giusto percorso di riabilitazione, però, si può imparare di nuovo a “camminare” e anche ad amare. Imparare ad amare vuol dire anche comprendere che in una coppia non ci deve essere un disequilibrio di sentimenti tale da annullare la personalità, i desideri, i bisogni del proprio compagno. Maïwenn mette in discussione una serie di pensieri (purtroppo condivisi da molti): un uomo “affascinante e seducente” può nascondere, in realtà, violenza e vigliaccheria; una donna non deve essere “salvata” da un uomo, né tantomeno un figlio deve “salvare” un rapporto. Andando oltre i toni esasperati e gli aspetti irrisolti, “Mon roi” analizza il pericoloso connubio tra amore e egoismo e le conseguenze disastrose che ne possono scaturire quando si perde lucidità e rispetto di se stessi.