L’ODIOSO CANCELLIERE

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–   di Vincenzo D’Anna   –                           

Ricorre oggi l’anniversario della morte di Alcide De Gasperi, probabilmente il più illustre statista che l’Italia abbia avuto nella seconda da parte del secolo scorso. Politico illuminato, diplomatico di grande spessore, il futuro premier della Repubblica italiana, fu anche deputato del regno di Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria Ungheria, negli anni in cui il Trentino non era ancora italiano. Negli anni della Grande Guerra, sostenne il diritto all’autodeterminazione dei popoli, della causa irredentista e subito dopo l’annessione del Trentino al Regno d’Italia, aderì al Partito popolare Italiano, fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo, dopo il famoso appello ai “liberi ed ai forti” lanciato dal prete di Caltagirone. Caduto il “Non expedit”, il veto papale che impediva ai cattolici italiani di agire in politica, De Gasperi stesso si prodigò, in prima persona, perché i medesimi avessero un loro partito di riferimento. Le idee guida del neonato Ppi furono quelle tratte dalla dottrina sociale della chiesa proponendosi come alternativa al socialismo rivoluzionario che andava affermandosi, in quegli anni, secondo i dettami marxisti. Al tempo stesso la neonata formazione “centrista” rifiutò ogni azione ispirata alla violenza ed alla visione sociale tipica dei totalitarismi. De Gasperi fu un fiero avversario del fascismo che nel 1922 prendeva il potere con la marcia su Roma dei combattenti e reduci delusi dalla “vittoria mutilata” come ebbe a definirla il vate Gabriele D’Annunzio. Le aspettative di una prosperità sociale, dopo aver servito la patria in armi, da parte di una larga massa di ex combattenti, rimasero deluse, auspice la crisi economica ed il debito pubblico che seguì allo sforzo bellico del 1915-18. La paura dei proprietari, degli imprenditori che temevano gli espropri proletari e l’occupazione delle fabbriche da parte dei massimalisti marxisti, sull’onda dell’esempio che veniva dalla rivoluzione dei soviet in Russia, rinforzarono ulteriormente le schiere dei sostenitori del fascismo capeggiato dall’ex socialista Benito Mussolini. Il caos e la disoccupazione di massa inducevano, infatti, una forte reazione di destra contro i moti socialisti e le rivendicazioni proletarie. Come un cuneo tra i contendenti si inseriva, in quegli anni, l’operato del movimento cattolico ispirato dalla la politica economica interclassista di Giuseppe Toniolo, che introduceva l’organizzazione delle forze politiche e sindacali di stampo cattolico. Insomma, in alternativa al terrore ed alla violenza politica dei “rossi” e dei “neri”, i cattolici proponevano la difesa della proprietà privata, la tutela dei ceti più poveri ed un modello di Stato che si articolasse secondo criteri di sussidiarietà decisionale, che discendeva dalle autonomie locali, ovvero dai Comuni e dalle Province. Un contrasto deciso al totalitarismo dello stato socialista ed alla violenza dei fasci di combattimento. Entrati in parlamento, i cattolici fecero argine al regime fascista e man mano che questo si radicò nella nazione, subirono le stesse persecuzioni dei socialisti e dei comunisti, questi ultimi nati da una scissione (durante il congresso di Livorno) del Psi. Riparato in Vaticano per sottrarsi alla cattura e poi espatriato a Londra, lo statista trentino fu un costante riferimento per coloro che, pur in clandestinità, mantenevano accesa la fiaccola del cattolicesimo politico. Chiuse le sedi dell’Azione cattolica e sciolti i partiti politici, la linea politica e la contrapposizione venivano dettate dalle colonne dell’Osservatore Romano, l’organo di stampa della Santa Sede, con gli scritti di Guido Gonella spesso ispirati proprio da De Gasperi, con gli editoriali “Acta Diurni”. Liberata l’Italia dal fascismo, i cattolici, attraverso le loro formazioni partigiane, entrarono nel Cln (il Comitato di liberazione nazionale) e successivamente nel governo di solidarietà nazionale. De Gasperi ricoprì ruoli fondamentali anche durante la gestione provvisoria dello Stato italiano, “spalleggiando” la causa della Repubblica nel corso del referendum istituzionale che sancì la fine della monarchia. Contribuì a redigere la Costituzione Italiana nell’assemblea costituente. Vinte le elezioni nel 1948 contro il fronte social-comunista, il politico trentino diede vita ad un governo liberale ed in seguito ad altri cinque governi. Aderì al patto atlantico tenendo l’Italia nella sfera occidentale, ideò con altri partner europei il disegno della Europa Unita. Riformò il latifondo dando vita alla ricostruzione morale e materiale della Nazione. Si batté per l’indipendenza di Trieste e per contendere agli jugoslavi i territori italiani dell’Istria. Stimato ed apprezzato da tutti, ebbe come avversario tenace Palmiro Togliatti il segretario del Pci, reduce dalla collaborazione con il regime sanguinario di Stalin di cui avallò la soppressione di migliaia di esuli riparati nell’Urss. De Gasperi fu tra i primi a denunciare i crimini del comunismo e con Luigi Einaudi, allora governatore della Banca d’Italia, riportò la nazione al benessere economico. Togliatti soleva chiamarlo per denigrarlo “l’odioso cancelliere” per ricordarne i trascorsi nel parlamento austriaco. Ma la Storia ha messo ciascuno nella giusta luce, esaltando i meriti di De Gasperi nella stessa misura in cui ha disvelato i crimini di Togliatti. Se oggi siamo una nazione lo dobbiamo anche a questo padre della patria che morì, insuperato nei meriti, il 19 agosto 1954, nella sua casa in Val di Sella.

*già parlamentare