LA FACCIA DELLO STATO

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–   di Vincenzo D’Anna*   –                                                           

Hanno destato scalpore le dimissioni del sindaco di San Cipriano Renato Natale. A più riprese, il noto esponente politico “anticamorra” ha indossato la fascia di “primo cittadino” in una comunità che, con quella di Casal di Principe, è tristemente nota proprio per la piaga della malavita organizzata. Natale per anni è stato dichiarato “paladino della legalità” e come tale è stato identificato nell’immaginario collettivo dell’intera provincia di Caserta. Uomo di sinistra, costui si è sempre mostrato intransigente verso i clan e particolarmente attento alle problematiche sociali, nonché patrocinatore di numerose iniziative tendenti al recupero dell’immagine della sua cittadina. Tuttavia si è trovato costretto ad operare in un contesto in cui le radici sociali del fenomeno malavitoso ed una diffusa diffidenza verso lo Stato (e le sue regole) hanno finito col caratterizzare la mentalità della gente, rendendo “fertile” un ambiente ostile fino ad incidere alacremente sia nel campo agricolo che in quello dell’allevamento bufalino dove si produce il latte da cui “prendono vita” le rinomate mozzarelle ed i prodotti lattiero-caseari noti in tutto il mondo. Gli studi, le analisi sociologiche ed antropologiche sulla stratificazione sociale e la recrudescenza (nelle varie epoche storiche) delle devianze sociali, arricchiscono le biblioteche specializzate senza essere venute mai a capo di quali siano stati veramente i fattori determinanti che hanno caratterizzato quella tipologia di comportamenti in quella vasta zona di Terra di Lavoro. Un’area in cui, ancora oggi, convivono ricchezza e povertà, iniziative imprenditoriali e sottosviluppo, brava gente operosa e camorristi. Per comprendere quanto sia antico il fenomeno occorre ritornare ai primi dell’Ottocento allorquando il capoclan di questo territorio si rifiutava di prestare obbedienza al “capo in testa” dell’onorata società napoletana, rimarcando in tal modo una sorta di autonomia operativa non soggetta a gerarchie di sorta. Insomma: una rivendicazione di fierezza e di autosufficienza che ritroviamo nella storia criminale della camorra dei giorni nostri. Un modo d’essere e di intendere la vita, se vogliamo, che prima ancora che malavitoso diventa un tratto distintivo, quasi ontologico, di quelle comunità, nelle quali spesso ci si vanta della “nomea ” di essere uomini d’altra natura, dotati di fermezza caratteriale e di principii indefettibili. Il lassismo amministrativo e la collusione hanno determinato anche scempi ambientali ed edificazione selvaggia. Ma lasciamo agli studiosi del fenomeno le analisi del contesto e soffermiamoci sulle cause delle dimissioni del sindaco di San Cipriano, un gesto che lo stesso ha spiegato come protesta contro “la faccia torva assunta dallo Stato” e della legge che impone gli abbattimenti delle case abusive, anche quelle di “necessità”. Non si tratta quindi di un momento di stanchezza o di protesta occasionale, quella del Sindaco, ma di una radicale denuncia verso uno Stato che si è mostrato iniquo e tracotante nel momento in cui ha deciso di imporre le proprie leggi. Un gesto che però stride con l’aura di difensore della legalità che lo stesso primo cittadino ha portato con fierezza per tutti questi anni. Una contraddizione, dunque, che investe anche la sfera politica essendo quel sindaco vicino al Pd, il partito che negli ultimi decenni ha contrastato ogni ipotesi di sanatoria o di compromesso, anche quella ispirata al buon senso, allo stato di necessità di migliaia di famiglie indigenti, alla vastità di un fenomeno che in Campania assomma a decine di migliaia di casi. Abusi per lo più di piccolo cabotaggio, necessitati dalla carenza di alloggi popolari, dall’allargamento del nucleo familiare, dal buon diritto di poter vivere in ambienti resi decenti anche dal punto di vista igienico-sanitario e più in generale alla reiterata mancanza degli strumenti urbanistici a cui far riferimento. Cominciò l’allora governatore della Campania, Antonio Bassolino, che si rifiutò di applicare il condono nei termini previsti dalla legge varata dal governo Berlusconi nel 2003. Con una norma regionale, il primo inquilino di palazzo Santa Lucia ridusse le cubature da poter sanare e raddoppiò gli oneri da pagare. Alla fine, la “sua” legge fu dichiarata incostituzionale, tuttavia tenne fuori la Campania dai benefici di cui pure usufruì il resto della Penisola, con il beneplacito dei piddini e della sinistra, a quei tempi ecologista, nel mentre, però, paradossalmente, in regioni “rosse” come l’Emilia, si applicava tranquillamente un altro condono edilizio in concomitanza di un evento sismico (!). Finanche l’ipotesi del “lodo Falanga” in Senato, che procrastinava gli abbattimenti solo nei casi in cui l’abuso era effettivamente di necessità (niente, dunque, a che vedere con la speculazione edilizia) fu fatto naufragare dall’intransigenza ecologista. Natale non ignora certo questi fatti e non li ignorano i magistrati che devono applicare le leggi, quegli stessi ai quali il sindaco di San Cipriano ha plaudito in ogni circostanza, anche quando inchieste di natura politica falcidiavano il centrodestra casertano. Salvo poi risolversi nel classico nulla. Mai una parola contro l’uso strumentale della legge sui pentiti e l’abuso del carcere preventivo. Mai una parola contro l’ingiusta applicazione del fantomatico reato di concorso esterno per sostenere indagini prive di prove. C’è da chiedersi se Non fosse forse “torva” anche quella faccia strabica e proterva dello Stato di diritto? Insomma la politica senza autonomia dal potere togato, eternamente subalterna e consenziente. La legge si applica perché nello Stato di diritto la morale risiede appunto nella legge come ci ha indicato la legge morale di Friedrich Hegel. Allora è compito della politica rendere le leggi assonanti con la morale dei tempi. Natale non è un sindaco qualunque, egli è, per certi versi, un’icona della legalità in quelle zone abusate dall’edilizia speculativa in mano alla camorra. Non può né deve dimettersi perché, in questo frangente, non gli piace la “faccia dello Stato”, ha il compito di prodigarsi a che la legge contempli i diritti della collettività, e se possibile sanare gli abusi senza che venga meno il precetto della morale collettiva. L’ignavia delle dimissioni può fare sorgere il vago sospetto di una posizione di comodo, un Pilatesco espediente avente anche finalità politico-clientelari. Il Sindaci si faccia invece portatore, nella propria area politica, di un’iniziativa legislativa che ridia ai campani la possibilità di recuperare quello che la demagogica legge regionale di Bassolino ha sottratto alla povera gente della Campania. Si vari almeno un condono che equipari la nostra gente al resto dell’Italia.

*già parlamentare