“DON’T LOOK UP”: ADAM MCKAY VUOLE MOSTRARCI UNA MEDIOCRITÀ “ILLUMINATA” O SOLO UN “DISASTER MOVIE”?

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di Mariantonietta Losanno 

Una dottoranda in astrofisica e il suo docente all’Università del Michigan scoprono che entro sei mesi una gigantesca cometa colpirà la Terra provocando l’estinzione del genere umano. Come reagiremmo se venissimo a conoscenza di una notizia del genere? O meglio, pensando ad oggi: come abbiamo reagito alla diffusione del Covid-19? “Don’t Look Up”, allora, ha del potenziale ma – proprio perché sa di averlo – “schernisce” se stesso e il suo pubblico, o si tratta solo di un “disastro”?

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Pensare che Leonardo DiCaprio, Meryl Streep, Jennifer Lawrence, Cate Blanchett, Timothée Chalamet e Jonah Hill si mettano al servizio di un progetto poco ispirato non è plausibile; è ipotizzabile, invece, che la nuova pellicola di Adam McKay voglia utilizzare un tono “canzonatorio” per provocare. L’intreccio del film si sviluppa nei primi minuti in un modo talmente banale da confermare l’ipotesi della provocazione: “Don’t Look Up” si prende gioco dei meccanismi del Potere e dei rapporti tra media ed informazione. La notizia della cometa, allora, è – forse – solo un “alibi” per mettere in scena un’opera di denuncia “al contrario” che, per accusare, si serve degli stessi mezzi che utilizzano coloro ai quali è rivolta la denuncia. “Don’t Look Up” si “sgonfia” di quelle pretese che caratterizzano la satira per prediligere una mediocrità “intelligente”: così facendo, ritrae lucidamente quello che oggi è diventato il mondo, vissuto attraverso il filtro dei social; un mondo, cioè, di negazionisti e complottisti che preferiscono essere scettici piuttosto che affidarsi alla scienza. McKay coinvolge tutti “urlandoci” contro: siamo tutti chiamati in causa come responsabili di una trasformazione sociale. Allora, l’intento dell’opera è dire ciò che è ovvio da una posizione di altezzosa superiorità e, addirittura, senza rispetto per la nostra “intelligenza” ma con una voglia di fare satira pungente anziché superficiale nichilismo. 

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Ci si sente destabilizzati. Le grottesche caricature, la comicità dalla forte ampiezza drammatica e il ritmo lento creano nello spettatore uno stato confusionale che, però, non fa perdere il filo. Perché, al centro di tutto resta sempre il discorso politico; al di là delle caratterizzazioni e delle “macchiette”, delle battute scontate e dei livelli surreali di “autoparodia”. McKay suggerisce allo spettatore interrogativi più che spaventosi, tra cui il peggiore di tutti è riassumibile in un laconico: siamo davvero così? Disinteressati, legati all’apparenza, incapaci di preoccuparci delle conseguenze della nostre azioni? Se la visione de “Il buco” – distribuito su Netflix nel marzo 2020 – aveva suscitato una sensazione di familiarità e paura per la rappresentazione della lotta di classe attraverso il sistema della distribuzione del cibo, “Don’t Look Up” ci lascia rassegnati, perché è capace di spiegare i meccanismi (sociali, psicologici, politici e mediatici) che entrano in gioco quando l’umanità si confronta con un’emergenza. In fondo, è solo la fine del mondo. 

McKay porta avanti un progetto ambizioso, cominciato con “La grande scommessa”, proseguito con “Vice – L’uomo nell’ombra” e confermato, oggi, con “Don’t Look Up”.