LA CRISI E LO STELLONE

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   –   di Vincenzo D’Anna*   –                                                    

“Non ne facciamo un dramma di queste elezioni anticipate. L’esercizio democratico del voto è sempre far decidere al popolo sovrano quale debba essere il segno politico del futuro governo della nazione”. Così da più parti si sente dichiarare da quanti hanno già consumato tutte le lacrime per accomiatarsi da Mario Draghi e dal suo governo tecnico di unità nazionale. La politica, luogo dell’opportunismo e del cinismo, non coltiva il sentimento della gratitudine per molto tempo. Roba risaputa se, già nei tempi antichi, Platone soleva anticipare tali considerazioni con versi saggi e presaghi: “Nel giardino delle idee, la pianta della riconoscenza è la prima ad appassire”. Tuttavia le dichiarazioni rassicuranti sui benefici ed i meriti della democrazia politica, proferite in tempi più che sospetti come quelli elettorali, lasciano il tempo che trovano. La democrazia, infatti, non è un concetto solo teorico ma trova applicazione pratica e meritevole laddove garantisca il cambio di governo senza spargimento di sangue, come soleva ripetere Karl Popper. Insomma: uno strumento che porti a risolvere i problemi della comunità e nel contempo salvaguardi la sfera dei diritti e delle libertà costituzionali garantiti ai cittadini dal libero patto sociale. Se il sistema democratico non porta a corredo questi requisiti e non produce il beneficio di risolvere il problema della governabilità, diventa un esercizio solo formale di sovranità popolare, con esiti sterili sempre peggiori rispetto al passato. Chi trascura questo aspetto della democrazia è un venditore di fumo, un demagogo che decanta meriti inesistenti. Uno che accredita le ipotesi per risultati e che allontana ogni volta un sempre maggior numero di cittadini dal convincimento che con il loro voto possano realmente incidere sulla stabilità e l’efficienza del governo. Se la politica ed i suoi postulati risultano fallibili, non adeguati, cioè, per garantire il buon governo ma solo il surrogato scadente di quest’ultimo, la gente rinuncia a celebrare un rito che non porta alcun cambiamento ed alcun concreto risultato. Ci fu chi ebbe a dire (Karl Marx) che la politica, incidendo sulla vita degli individui attraverso l’imperio delle sue leggi, altri non è che il  governo degli uomini camuffato dal governo delle cose. Se il risultato di ogni elezione che si succede è scadente, il governo delle cose lo sarà altrettanto e con esso il riflesso sulla vita dei governati. Ancorché lo sembrino, queste non sono considerazioni di carattere teorico o filosofico, ma pratica concreta e quotidiana con ricadute sulla vita dei cittadini: oppressione fiscale, servizi scadenti, basso grado di moralità ed alto grado di corruttela, tutela degli interessi particolari dei gruppi sociali più garantiti perché più rappresentativi. A cosa servirà mai la democrazia come strumento di sovranità popolare se non riesce a determinare radicali ed effettivi cambiamenti? Una domanda che trova una silenziosa ma eloquente risposta nei comportamenti di coloro i quali rifuggono l’impegno politico, il servizio alla collettività, la pratica di esercitare il proprio diritto (democratico) al voto. La democrazia si fonda sulla partecipazione del popolo che può scegliere e decidere la qualità del regime di vita. Senza di essa non assume alcun valore. Allora bisogna chiedersi cosa si sia inceppato nel meccanismo della democrazia popolare e del sistema parlamentare, interrogandosi se questa forma sia ancora la migliore per garantire scelte e ricambio della classe dirigente. Molti, oggi, si mostrano scettici innanzi al pericolo di una crisi di sistema che coinvolga la democrazia stessa, ritengono che le libertà costituzionali siano inamovibili ed assicurate comunque sia, senza soluzione di continuità. Si tratta di un grossolano errore, che spesso poggia sul convincimento che i fantasmi del passato non possano più ritornare col loro carico di tragedie. Così non è e una dittatura oppure un uomo forte, possono sempre ripresentarsi per “stato di necessità”. A ben vedere non siamo poi tanto lontani da un’ipotesi di questo tipo se il sistema è incagliato ed improduttivo. È sbagliato non credere che qualcuno possa, un giorno, negarci il diritto di voto e di scelta dei governi, dichiarando anacronistica e fallita la democrazia. La Germania nel 1933 era la patria di illustri intellettuali, scienziati e premi Nobel di ogni specie, prestigiose scuole di pensiero ma per l’anarchia politica, la fatuità dei governi, la crisi economica e il fallimento del regime democratico incapace di assicurare stabilità e qualità, finì nelle mani di un esaltato che non era riuscito neanche a conseguire un diploma di maestro di disegno! Senza partiti veri e senza regole elettorali, la democrazia è vuota e gli italiani dovranno affidarsi al tradizionale Stellone, al fato benigno che ci trae dagli impacci.

*già parlamentare