1° GIORNO | 21ESIMA EDIZIONE CONCORTO FILM FESTIVAL: OTTO GIORNI DI CINEMA BREVE CHE RECUPERA RICORDI, CONDUCE SU ALTRI MONDI E FA “VOLARE”

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di Mariantonietta Losanno 

Quarantuno film in concorso, tra cui due Prime Mondiali e venticinque Prime Italiane provenienti da trentadue Paesi: dal 20 al 27 agosto si svolge nel territorio piacentino la ventunesima edizione del “Concorto Film Festival”. Più di un ventennio di un “evento-cinema” che, oltre a cercare di suggerire attraverso la visione dei film la creazione di un pensiero unico, creativo e intraprendente, insegue anche l’intento di “esperienza cinematografica”. Il suggestivo scenario del Parco Raggio di Pontenure, a pochi km dalla provincia, aderisce perfettamente alle intenzioni del Festival; concorre, infatti, a creare una cornice di intimità, introspezione, creatività. Altra location è la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, storica realtà culturale cittadina, che ospita gli uffici del Festival e in cui si tengono il Focus Colombia (tenuto dal Direttore del Festival Simone Bardoni), in collaborazione con Bogoshorts, proiezioni speciali, EFA Shorts (la sezione a cura degli European Film Awards), Concorto Kids. Fuori concorso ci sono, poi, “Supernature” (curata da Claudia Praolini), una scelta di cortometraggi che indagano la relazione uomo-natura, “Guilty Pleasure”, (a cura di Margherita Fontana e Chiara Ghidelli), un focus sulla cinematografica erotica e – in un’accezione più ampia – una riflessione sui corpi e un confronto con la sessualità, “Deep Night” (a cura di Rael Montecucco), che più che un contenitore di film horror si presenta come approfondimento diverso e personale su un Cinema che indaga emozioni “radicali”, “Ubik” (a cura di Claudia Praolini), una sezione dedicata ad indagare il confine tra cinema e video arte, “Comicomedy” (a cura di Johnny Shock, Greta Araldi, Gjergji Agolli, Andrea Scita, Pasquale Sfameli, Suellen Sfameli), una ricerca di una comicità liberatoria ed arguta, “Animal House” (a cura di Vanessa Mangiavacca), un’esplorazione del rapporto tra esseri umani e animali.  

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I film in concorso si contendono l’Asino d’Oro, che verrà assegnato da una giuria internazionale composta da Pedro Armocida, Direttore del Pesaro Film Festival, giornalista, critico cinematografico e docente, Emma Nolde, una delle voci del futuro della musica italiana e finalista al Premio Tenco nella sezione Opera Prima, Katharina Huber, artista, regista (già vincitrice dell’Asino d’Oro) e produttrice, Florian Fernandez, coordinatore Industry del cortometraggio al Festival di Cannes e Ohana Ghera, Direttrice del Bucharest Experimental Short Film Festival. La giuria giovani conferirà il Premio “L’onda”, e il premio del pubblico, invece, sarà assegnato sulla base dei voti raccolti ogni sera tra gli spettatori. Sarà dato, come da tradizione, grande spazio alla musica con la sonorizzazione live di Furtherset di “Secolo nostro”, film del cineasta armeno Artavazd Pelešjan, e il live di Emma Bolde. 

Novità di quest’anno è il progetto curato da Isabella Carini e Chiara Granata “SEEING VOICES”: per la prima volta il Festival sarà completamente accessibile alle persone sorde grazie alla presenza di interpreti LIS, staff segnante e sottotitoli specifici. 

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La locandina del Festival è stata realizzata dall’illustratrice Elisa Talentino: “L’immagine che ho realizzato per Concorto 2022 nasce da un desiderio d’infanzia: cavalcare un animale magico, che sia in grado di distaccarsi da terra per condurci verso universi fatati”. Un desiderio espresso sin dai primi sette cortometraggi proiettati durante la prima serata del Festival; un desiderio che mette radici dove c’è fiducia e volontà di analisi e miglioramento. La scelta dell’illustrazione nasce dal domandarsi cosa possa servire per “volare”: quali sono gli ingredienti necessari? I pensieri felici, che di questi tempi sono quasi “un atto di ribellione a ciò che la realtà ci offre”. La componente di fantasia che, però, “sovverte le regole” cercando anche concretezza; la volontà di “soffermarsi sul tempo”, allontanandosi, però, dal desiderio di volerlo governare, l’intento di recuperare ricordi, farli rivivere, (ri)attribuendovi forma e consistenza. E, ancora, la leggerezza, la capacità di “lasciarsi andare” – persino, come vedremo, “precipitando” – e di guardare nella direzione “opposta”, così come sono rivolti i due ragazzi (l’uno verso l’altra tenendo insieme le redini dell’asino). “Stare al contrario” significa, allora, anche accettare l’esistenza di contraddizioni. “Mi contraddico? Sì, mi contraddico. Sono vasto: contengo moltitudini”, diceva Walt Whitman. È proprio per l’infinita varietà di sfumature che siamo capaci di vedere nel mondo – e che sono rappresentate nel Cinema – che non possiamo far altro che modificare continuamente le nostre idee, così da evolvere anche nelle contraddizioni. E in tutte quelle sensazioni che sfuggono alla banalità, all’approssimazione e alla linearità. 

“Concorto Film Festival”, con la sua storia ventennale, conferma e rinnova anche quest’anno i suoi intenti: dedicarsi al Cinema (a tutto il Cinema) attraverso una programmazione ricchissima, immergersi in uno scenario che aiuta a far sì che quell’idea di “lasciare che le cose si avverino” possa realizzarsi e in opere che – per la loro natura breve – sono capaci di “concentrare” le emozioni riuscendo a fare “ordine” senza svilire il racconto o sottraendo dettagli rilevanti. Opere (molto legate alla contemporaneità) che “grazie” alla loro natura breve – e non “nonostante” – riescono a sviluppare anche sottotrame e a suggerire riflessioni istante per istante, anche quando sembra che ci sia staticità. “La nostra è un po’ una battaglia: ci manteniamo identitari sul cortometraggio, perché non vogliamo perdere di vista la nostra “mission”, ha raccontato in un’intervista il Direttore Simone Bardoni. 

Entriamo nel vivo del Festival con i primi sette cortometraggi in concorso. 

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1: “CLARK’S”, DI ADRIEN L’HOMMEDÉ: UNA SURREALE “DANZA” CAPITALISTA 

(Francia, 17’ 51’’)

Alan subisce uno dei concetti tanto studiati da Marx nell’ambito della sua analisi del sistema capitalista, l’“alienazione”, una condizione di estraniazione prodotta dalla divisione del lavoro, dalla proprietà privata, dalla brama di denaro. Una perdita di controllo sul processo di produzione che conduce a sentimenti di ostilità e indifferenza verso il lavoro. Per Alan è una condanna: si tormenta, si domanda se avrà mai delle alternative possibili, si aggrappa a ricordi confusi e sbiaditi. Non sente i rumori della città, non si emoziona di fronte al mare. Vorrebbe restare ancorato al suo “piccolo mondo”, non diventare schiavo di quel sistema che sfrutta l’uomo e privilegia le macchine. Ci si può ribellare realmente a quello “schema” metodico, a quella “danza” perfettamente coordinata? 

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2: “ICE MERCHANTS”, DI JOÃO GONZALEZ: CHE FORMA SI ASSUME QUANDO SI PRECIPITA?

(Portogallo, 14’)

Un padre e suo figlio ogni giorno saltano con un paracadute dalla loro altissima casa gelata attaccata ad una scogliera, per raggiungere il villaggio sulla terra ferma. Quante volte si può precipitare? E che forma si può assumere ogni volta che si cade? Ci si rimpicciolisce o si diventa più grandi? Probabilmente ci si trasforma, adattandosi alle diverse forme che assume la vita stessa. Si precipita soli, ma anche insieme. A volte non si può fare altro che aspettare che il vento ci porti, altre volte si può opporre resistenza: è importante capire il “movimento” e assecondarlo, “lasciandosi andare”. Il regista si serve del paracadute per simulare la caduta e rappresentare la capacità di “seguire” il flusso delle cose, e l’altalena per suggerire l’idea di un movimento che – procedendo avanti e indietro – non sempre può essere interrotto o modificato. 

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3: “THE WATER MURMURS”, DI STORY CHEN: IL VUOTO CHE RIEMPIE 

(Cina, 14’ 59’’)

Palma d’Oro per il miglior cortometraggio a Cannes, l’opera è ambientata in una cittadina sul fiume, che rischia di essere sommersa a causa della caduta di un asteroide sulla Terra. Ogni cosa è demolita o incompiuta: gli edifici sono fatiscenti, la città non ha le stesse sembianze, le persone sembrano non riconoscersi neppure più. Si va alla ricerca di ricordi che possano ricostruire quello che è stato distrutto. La regista indaga i vuoti da riempire e quelli che riempiono: non si “scappa” dalla distruzione, ma si va persino incontro a quello che fa paura. Sembra che la città “voli”, come se avesse perso la sua forma per assumerne un’altra surreale, persino impercettibile. 

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4: “TWO SISTERS”, DI ANNA BUDANOVA: DUE FIGURE CHE SLEGANDOSI SI AGGRAPPANO L’UNA ALL’ALTRA

(Francia, 14’)

Due gemelle si rincorrono e si fanno ombra, scappano per poi rincorrersi, si fanno scudo per poi nascondersi. Qualcosa le spaventa: non si toccano. Sono una presenza rassicurante l’una per l’altra o si ostacolano a vicenda? Il pericolo potrebbe essere altrove e hanno bisogno di fondersi per diventare più “forti”. Inizialmente non è chiaro se si tratti di due entità diverse o della stessa, i loro movimenti così coordinati confondono e spesso sembra di vedere un solo corpo. Di fronte ad un pericolo, però, i confini tra le due diventano netti e le loro presenze distinguibili. È possibile fondersi senza diventare necessariamente un’unica cosa: l’una può “attraversare” l’altra mantenendo i confini di se stessa chiari e definibili. 

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5: “BUON NATALE”, DI VIREN BELTRAMO: FORMALITÀ VS AFFETTO, CARICATURE VS PERSONALITÀ “DIVERSE”

(Italia, 15’) 

Il Natale è un’occasione per riunire le famiglie. A volte sembra quasi ci si debba riunire proprio “perché è Natale”. Giorgio e sua figlia di otto anni sembrano a disagio seduti a quella tavola, sono “diversi”: lei vorrebbe cantare e giocare, lui vorrebbe fare regali personalizzati. E invece lei è costretta a stare ferma (a “non toccare le tende” e a “sedersi sulla “sua” sedia”), e lui a sentirsi chiamare “speciale”, perché domanda ai parenti “come stanno” – anche se la risposta già concordata è, naturalmente, “benissimo” – e si lascia andare all’emozione non reprimendole. La formalità si scontra con le emozioni, ma non vince. Le espressioni caricaturali “perdono” quando viene pronunciato – come se fosse un’urgenza – un “ti voglio bene” carico di nostalgia e sofferenza. 

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6: “HIGH SKY LOW LAND”, DI MARIA ERIKSSON-HECHT: LA TRISTEZZA È UNA COLPA PER CUI BISOGNA ESSERE “PERDONATI”

(Svezia, 20’)

Una bambina aiuta suo padre a tenere in piedi la famiglia. Lo assiste, si prende le sue colpe, chiede perdono al suo posto. I servizi sociali le chiedono cosa fa durante le sue giornate e lei inventa, difendendo il suo unico genitore, come se non potesse venire meno al compito che le è stato affidato; finge talmente bene da riuscire a piangere, a sembrare “realmente” triste. Tutto ruota intorno al concetto di “colpa”: si ha la colpa di essere tristi, ci si sente in colpa per non essere all’altezza e altrettanto in colpa di venire meno ad “obblighi” non obbligati, in realtà, da nessuno. Quell’abbrutimento e quella violenza, però, restano. Non si può fingere che non ci siano, non basta chiudere gli occhi, non basta scappare. 

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7: “ON MY MIND”, DI MARTIN STRANGE-HANSEN: UNA RICHIESTA DI AIUTO PER “FAR VOLARE” UN’ANIMA

(Danimarca, 18’)

Henrik vede un microfono ed è come se avesse un’illuminazione. È disposto a fare di tutto per cantare un’unica e sola canzone; c’è un motivo specifico, ma non vuole dirlo. O, almeno, non vorrebbe farlo ma viene costretto. Deve utilizzarlo in quello specifico momento: non c’è più tempo. La richiesta disperata di una canzone è, in realtà, una richiesta disperata di aiuto. Vorrebbe fermare il tempo, ma sono solo dieci minuti. Poi cinque. Quella che appare una “follia” è, invece, un lucido e rassegnato ultimo gesto di amore. Dopo aver “portato a termine il compito”, Henrik riesce a lasciare andare sua moglie, allenta la mano, le dà un bacio, e poi le permette di “volare”. Non cerca miracoli, ma crede nelle “tracce dell’anima”. E per crederci non servono riscontri scientifici, basta riuscire ancora ad amare.