ESSERE GENITORI DI UN BAMBINO DISABILE: QUANDO LA DIAGNOSI MINA LA SERENITA’ DELLA FAMIGLIA

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“Essere genitore significa fornire una base sicura da cui il piccolo possa partire per affacciarsi nel mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato. In sostanza questo ruolo consiste nell’essere disponibili, pronti a rispondere quando chiamati in causa, per incoraggiare e dare assistenza, ma intervenendo attivamente solo quando è chiaramente necessario”. Bowlby

 

Sicuramente la scelta di diventare genitori è una delle importanti e più entusiasmanti del mondo, ma non è mai facile perché la genitorialità è un tema abbastanza articolato e complesso. Quando nasce un bambino è senza dubbio una grande gioia, ma è anche un radicale cambiamento, perché inizia per la famiglia un nuovo ciclo di vita che modifica la relazione coniugale: la coppia, che prima dell’arrivo del figlio, vive una relazione dualica, diventa una “famiglia con figli”. Pertanto entrambi devono ridefinire la struttura familiare da coppia a famiglia con un bambino piccolo e molte priorità e abitudini, cambiano e subiscono destabilizzazione, soprattutto emotiva. Si devono costruire ruoli e funzioni genitoriali e la relazione di coppia cambia, per via delle numerose cure da rivolgere al bambino e ci prevede meno momenti ed risorse da investire nella coppia. Tuttavia può capitare che un partner possa sentirsi trascurato dal coniuge e agire in modi poco adeguato, ad esempio attaccando l’altro, biasimando o ritirandosi nell’isolamento, cercando via di fuga. Si devono ristabilire ruoli e posizioni rispetto alla situazione di origine, in cui si era coppia: in particolar modo, la nascita del primo figlio rappresenta una vera e propria rivoluzione in termini di ruoli. Da figli diventano (anche) genitori e, da questo momento in poi, sono tenuti ad assumere l’autorevolezza e le responsabilità che il nuovo ruolo provoca. Quando nasce un bambino con disabilità, queste modalità si amplificano perché oltre alla normale confusione e allo stress tipico di ogni nuova nascita, si aggiungono le esigenze di salute del bambino con disabilità. All’inizio i genitori vivono questa situazione come un “lutto”, una punizione divina e un’ingiustizia. Tutti i loro sogni e progetti sulla vita vanno in pezzi e vi è la necessità di elaborare la nuova situazione dopo la diagnosi, si sprofonda inesorabilmente in un tunnel senza uscita. Bicknell ha tentato di delineare le fasi attraverso le quali si arriva all’elaborazione del “lutto/diagnosi tra le quali c’è la fase inziale di shock e dolore, alla quale segue il senso di colpa misto rabbia e solo alla fine c’è l’accettazione della condizione con elaborazione di un nuovo progetto di vita, tenendo conto che in presenza di un figlio con disabilità il lavoro di impegno è molto più difficile e le emozioni saranno sempre confuse e contraddittorie.  La disabilità di un figlio è un severo banco di prova per la famiglia poiché anche l’identità dei componenti della famiglia tende a strutturarsi intorno alla nuova condizione, mettendo alla prova la tenuta della coppia, che nel 7% dei casi, si destabilizza, si allontana, si sgretola o si scioglie. Mantenere spazi personali è difficile, così spesso la famiglia decide più o meno volontariamente di “dividersi i compiti”. Il padre generalmente si dedica all’attività lavorativa ed economica, mentre la madre diventa il caregiver del figlio con disabilità, facendosi assorbire completamente dal ruolo di madre, dimenticando di essere prima di tutto donna e moglie.

Quello tra madre e figlio disabile diventa così una “relazione statica e univoca” che vede il ripetersi quotidiano delle stesse richieste, degli stessi bisogni, delle stesse risposte e questa modalità relazionale che si viene ad instaurare tra madre e figlio, che porta la mamma a non avere la possibilità di avere qualsiasi altro ruolo se non quello di madre. La potenziale depressione materna si costruisce sin dai primi giorni dalla nascita del figlio con disabilità, proprio perché la madre non si sente una buona madre, si sente la colpevole di quella forma di disabilità e gli sforzi fatti quotidianamente sembrano spesso non ricompensati o vanificati. Il papà invece vive costantemente la sensazione di difficoltà ad instaurare legami affettivi con il figlio con disabilità, si sente di troppo e sente la sensazione di fastidio e invasione tra il bambino e la madre. Spesso capita che papà e mamma non riescano più a scucirsi da dosso il ruolo genitoriale e di cura, a discapito di tutti gli altri ruoli sociali, anche dell’essere marito o moglie. Altre volte, nel disperato tentativo di trovare una causa o un fattore alla forma di disabilità del figlio, inizia tra i genitori una ricerca e un rimpallo delle colpe e delle responsabilità che possono aver determinato la disabilità del figlio. Pertanto spesso accade che nei primi anni di vita del bambino la coppia giunga alla separazione. Oppure, al contrario, il fatto di essere soli ad affrontare qualcosa di immenso, sentendosi abbandonati dalle istituzioni, porta la coppia a legarsi ancora di più, chiudendosi all’interno del nucleo familiare ed interrompendo ogni relazione sociale e di amicizia con gli altri, accusati involontariamente di “non capire la situazione che stanno vivendo”. Il senso di solitudine e abbandono delle famiglie è quello che spesso i genitori di bimbi con disabilità riferiscono agli specialisti che seguono per anni e anni, misto ad uno schiacciante senso di solitudine ed inadeguatezza, soli e persi di fronte alla diagnosi. E’ compito di psicologi, operatori sociali, assistenti sociali, educatori, insegnanti supportare e accompagnare le famiglie anche (e soprattutto) da un punto di vista sociale, relazionale, emotivo, oltre che sanitario ed educativo. E’ importante che i genitori trovino uno spazio in cui poter dire ad alta voce, senza vergogna e paura di un giudizio, i propri pensieri, paure e desideri per far sì che attraverso la presa di consapevolezza, questi possano essere modulati. E’ importante che le diverse figure professionali specializzate accompagnino e sostengano i genitori nella progettualità nei riguardi del loro figlio con disabilità, senza sostituirsi a loro, ma procedendo accanto. Fin dal primo momento in cui viene diagnosticata la disabilità, la famiglia può costruire sogni riguardo al futuro del proprio figlio, necessariamente rivisitando gli obiettivi e le aspettative. Il sostegno dei professionisti può rivelarsi utile per la famiglia nel momento in cui il figlio disabile necessita di affrontare (per quanto possibile) esperienze di autonomia al di fuori del nucleo familiare. Se un educatore ha la certezza che il bambino possa raggiungere un determinato livello di autonomia, è importante affrontare tutti insieme un lavoro per raggiungere tale fine. Comunque, nel percorso della famiglia di un bimbo con disabilità, il centro non è solo il figlio. E’ importante che anche la mamma e il papà, sia come persone singole, sia come coppia siano tutelate e supportate nel gestire le dinamiche in atto e le emozioni, a volte contrastanti che provano con figure professionali competenti: la psicoterapia genitoriale, l’ascolto e la mediazione familiare in questo possono essere un valido aiuto. Gestire il conflitto non significa annullarlo o risolverlo totalmente, ma avvicinare verso il riconoscimento dell’altro entrambe le parti, per far in modo che i rapporti possano essere gestiti in modo sano per sé e per i propri figli. Occorre accompagnamento e orientamento nel complesso mondo dei servizi, a cui faranno affidamento per il percorso di presa in carico del bambino disabile, e ciò che serve davvero è proprio uno spazio di ascolto, di cura soprattutto della mamma e del papà per alimentare coraggio e fiducia nel futuro.

5 Commenti

  1. Dopo aver ricevuto la diagnosi di autismo, pensiamo sia utile sottolineare l’importanza della formazione e dell’inclusione nel programma di apprendimento della famiglia e di tutte le altre figure coinvolte nel progetto di vita del bambino, così da creare apprendimenti generalizzati e multi-contesto.

  2. Triste realtà ma vera perché la diagnosi di autismo ti stravolge inevitabilmente la vita e ti cambia la quotidianità.
    Sono d’accordo con lei che bisogna farsi aiutare e ciò che scrive ci fa sentire meno soli in questo viaggio chiamato disabilità.

  3. Se si ha il bisogno che i genitori si facciano aiutare da esperti, ben venga questo aiuto, perché la famiglia deve stare unita per il bene proprio e soprattutto per il bene del proprio figlio disabile.
    Un nuovo interessante articolo, e come sempre impeccabile Mariarosaria.

  4. La diagnosi di autismo di nostro figlio ci ha completamente sconvolto. Poi abbiamo trovato la forza di andare avanti, nonostante la problematica siamo diventati più forti e meno spaventati.
    Grazie a lei dottoressa perchè i suoi articoli per noi sono sprono per andare avanti. Un saluto alla sua Laura

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