LA POLITICA SOTTO LA TOGA

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–   di Vincenzo D’Anna –                                                 

Non amo fare il bastian contrario per partito preso, seppur continuo ad illudermi (ancora) che questa nazione possa tornare, prima o poi, ad essere la culla del diritto. “Giorno verrà” minacciò, alzando l’indice accusatore, il Padre Cristoforo di Manzoni contro Don Rodrigo, per intimargli di rispettare la legge divina e con essa il sentimento di giustizia che è dovuto anche ai più umili ed indifesi, ovvero Renzo e Lucia, i “Promessi Sposi”. Chi si avvia lungo la strada dell’impegno politico, chi dedica all’idealità che lo anima gli anni migliori della propria esistenza, per servire la collettività, non può non credere nel sentimento di una giustizia giusta. Ovvero amministrata da chi esamina e giudica i fatti senza passioni e senza pregiudizi. Credo che l’ex parlamentare Mario Landolfi appartenga a quella categoria di politici, alla ormai rara schiera di persone che alla buona politica ed alla Giustizia con la “G” maiuscola ha sempre creduto. Se così non fosse stato, l’ex esponente di Alleanza Nazionale non avrebbe rinunciato ai benefici della prescrizione, allorquando poteva porre fine al suo lungo calvario giudiziario. Un stato che comunque lo aveva avvilito, allontanato dalla vita politica, come capita alle anime belle ed agli spiriti ardimentosi. Uomo colto e garbato, Landolfi non è mai stato un epigono dei facinorosi, neanche negli anni in cui la lotta politica contemplava lo scontro e la violenza (verbale o fisica che essa fosse). Insomma: non gli ho mai sentito pronunciare discorsi incendiari, mai cedere alla tentazione di difendersi, seppur vilipeso, come uomo di destra, dai “maître a penser” della faziosità e della discriminazione allevati con cura nelle file della sinistra. Fuori e dentro le aule parlamentari, Landolfi ha sempre preferito il ragionamento alle risposte nerborute, l’analisi scaturente da un pensiero avveduto alle boutade della propaganda partigiana. Ebbene quest’uomo che non ha mai indossato l’orbace e gli stivaloni dell’avanguardista, giornalista e ministro della Repubblica dal tratto ineccepibile e pacato, è stato condannato, in via definitiva, a due anni di carcere per corruzione. La sentenza della suprema corte di Cassazione ci svelerà i contenuti sui quali si fonda tale decisione che, si badi bene, non riguarda un reato contro la pubblica amministrazione, un’appropriazione indebita, un illecito arricchimento, un qualsivoglia vantaggio personale o patrimoniale. Si tratta, invece, di una condanna scaturita da un processo costruito tutto intorno ad una vicenda politica, ad una distorta interpretazione di un atto non solo diffuso e consueto, quanto ricompreso nella sfera dell’agire politico. Tuttavia, come è ben risaputo, la politica non è ben vista nelle procure, dove è malamente interpretata, ritenuta, di per se stessa, foriera di intrallazzi e di arcani disegni poco raccomandabili. Tali stereotipi e pregiudizi si amplificano fino al parossismo se l’uomo politico indagato è schierato a destra ed è accompagnato dal successo elettorale. Una specie di legittima suspicione applicata a priori per questa tipologia di imputati, non di rado invisi a quei pubblici ministeri in servizio permanente effettivo con quello schieramento, dove poi puntualmente confluiscono una volta dismessa la toga. Ma bando alle ciance: quale sarebbe il reato commesso dal deputato casertano? Semplice: avrebbe tentato di convincere un consigliere comunale di Mondragone ad uscire dalla traballante maggioranza presente in consiglio comunale. Praticamente avrebbe esercitato una doverosa, opportuna e coerente azione politica per azzerare una giunta municipale di sinistra. Ora, se una tale azione fosse ritenuta fonte di reato corruttivo allora si dovrebbero condannare tutte le azioni di identico segno, ovvero riaprire tutte le vecchie carceri per rinchiudervi migliaia di rei. Viviamo in una nazione ove il trasformismo milazziano è all’ordine del giorno, ove spesso i governi si reggono con il favore dei parlamentari transfughi, ove alla base di questo gioco a volte ci sono interessi personali e patrimoniali da barattare, con tanto di scandali e particolari pubblicati sui giornali, ma nulla si è mai mosso. La colpa di Landolfi è quella di aver agito per favorire la propria parte politica, e non mi pare siano emersi fatti estorsivi tali da degradare lo scopo, trasformandolo in evento perseguibile penalmente!! Evidentemente avrà incontrato magistrati che di politica poco comprendono o, peggio ancora, il famigerato “giudice etico” colui, cioè, che piega la legge alla sua personale scala di valutazione morale. Ancora una volta la magistratura si è arrogata il diritto di stabilire cosa sia praticabile e plausibile nell’azione politica e cosa, invece, non può essere considerata tale. Un’interferenza che una politica arrendevole, codina o peggio ancora, collusa (vedi Palamara) ha consentito. Una politica ormai sotto la toga.

*già parlamentare