LA CIFRA DISTINTIVA DEGLI IMBELLI

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–   di Vincenzo D’Anna*

Certo saranno pochi quelli che hanno reminiscenze del ventennio fascista, della politica estera aggressiva e tardo coloniale che il Duce intraprese per dare a re Vittorio Emanuele III un impero. Fu quella di Mussolini la ricerca della “quarta sponda” un’apologetica ricerca di spazi vitami e di grandezza come nell’antica Roma, dei fasti che il regime dittatoriale perseguiva per la grandezza dell’Urbe e della nazione, in nome delle quali le truppe italiane invasero e occuparono l’Etiopia, associandola alle nostre “vecchie” colonie di Somalia, Eritrea e Libia. Quella d’Abissinia, al pari delle altre guerra d’Africa, furono vere e proprie aggressioni verso popoli pressoché inermi e socialmente malandati. Acquisimmo possedimenti dei quali non fummo in grado di sfruttare le risorse naturali, finendo, al fine, per “civilizzarli” con opere pubbliche di cui ci sarebbe stata necessità sul suolo patrio. Insomma: quello sorto sui colli di Roma fu un impero scalcagnato ed improduttivo. Certo non fummo teneri con i popoli sottomessi (impiccagioni, deportazioni di massa e fucilazioni furono all’ordine del giorno anche a quelle latitudini), ma la nostra scarsa indole guerriera e priva di cinismo politico e sociale, non ci mise al livello, ad esempio, degli altri feroci conquistatori, venendo ancora oggi ricordata da quelle genti più con gratitudine che con risentimento. Niente a che vedere, per capirci, con la dura disciplina degli Inglesi o con la grandeur dei francesi capaci di sopprimere, sia in Indocina che in Algeria, le libertà e la ricchezza di quei popoli. Tuttavia così andarono le cose per il sovrano sabaudo, tanto piccolo per statura fisica e politica, da meritarsi il nomignolo canzonatorio di “sciaboletta”. Anche in quei tristi frangenti storici ci fu molto più melodramma che vero dramma storico. Un incipit, il nostro, che serve ad inquadrare la natura e le inclinazioni del Belpaese quando invece di doverci difendere dagli altri siamo noi a indossare i panni dell’aggressore. Una vocazione pacifica ed opportunistica che si è andata vieppiù consolidando nei decenni del secondo dopoguerra, grazie (anche) all’ombrello protettivo offertoci dagli Stati Uniti e l’adesione all’alleanza militare difensiva della Nato. Solo negli ultimi decenni il nostro apparato militare ha trovato un rilancio di professionalità e di ammodernamento che si è accompagnato con la riforma della leva che ha visto trasformarsi l’esercito in un corpo di militari professionisti. Grazie a questa rivoluzione abbiamo potuto ben figurare nelle varie missioni di “Peace Shipping” per sedare, sotto l’egida dell’Onu, varie situazioni “critiche” nel mondo. Tuttavia le generazioni attuali hanno scarso senso dell’amor patrio ed ancor più scarsa inclinazione alla guerra, finanche se questa dovesse essere necessaria per difendere la nostra nazione. Insomma quella attuale sembra tanto una generazione di giovani pavidi, scarsamente vocati al sacrificio ed ai disagi della vita militare. Ne hanno dato di recente palese testimonianza i sondaggi di opinione che hanno rilevato una diffusa indifferenza allo spirito di difesa del suolo patrio e degli interessi dello Stato. Molti ritengono che questo sia il frutto di un’acculturazione verso i disegni di pace mondiale, altri il segno di una generazione di imboscati che lascerebbe ai soli soldati di carriera il compito di fronteggiare un eventuale conflitto scaturito da un’aggressione straniera. Comunque sia, da questo contesto socio culturale dominante nasce, come corollario, il “pacifismo ad oltranza”, spesso manicheo e strabico, basato più sul disimpegno personale e sulla paura che sulla reale idealità che rinuncia ad ogni belligeranza, anche se questa dovesse essere necessaria. Il caso più recente è, ovviamente, la guerra in Ucraina, allorquando innanzi al caro bollette un intero Paese si è convertito alla teoria che, al di là di chi siano gli aggressori e gli aggrediti, al di là di dove siano torto o ragione, si imponeva l’urgenza di adottare una politica neutrale, una rinuncia a dare aiuto ad un popolo eroico che pure veniva massacrato ogni giorno dall’aggressore russo. Lacrime di pietà quante ne volete innanzi a bambini e civili straziati, colpiti nelle loro case, agli stupri, alle fucilazioni ed alle fosse comuni, alle torture e saccheggi che le tv di tutto il mondo hanno denunciato con dovizia di particolari nell’ultimo anno di conflitto, ma alzare un dito, per molti, proprio no! Non pare assolutamente il caso!! Ecco quindi ripetersi assillanti le sottoscrizioni di documenti per la pace, le veglie e i cortei arcobaleno: occasioni per invocare, comunque sia, la pace indistintamente. Innanzi al popolo ucraino che si immola eroico e combatte, finanche la fornitura d’armi è stata ritenuta un atto…inopportuno!! Il despota che regna al Cremlino queste cose le conosce, le denuncia anche per paradosso, addebitandole al lassismo del capitalismo ed all’opulenta vita delle società liberali. L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie, ma questo non dà il diritto a nessuno di occupare, eventualmente, il nostro Stato. Non cerchiamo la quarta sponda imperiale come Mussolini ma nemmeno dovremmo avere, come popolo, la cifra distintiva degli imbelli…

*già parlamentare