IL DIZIONARIO DELLE TRISTEZZE

0
  peppe rock 150x150 IL DIZIONARIO DELLE TRISTEZZE 
   –   di Giuseppe Rock Suppa   – 
Tristezza: quante volte lo siamo al giorno? Ma di cosa siamo tristi? Triste in fondo è il nome di un’emozione precisa ma anche molto vaga, molte tristezze non sapremmo neanche come chiamarle. Ora ci viene in aiuto John Koenig con il suo Dizionario delle tristezze senza nome, e ognuno può fare l’esperienza di dare un nome a una tristezza, sentendosi meno solo. A volte sentiamo di averle spesso, a volte no, io ho fatto l’esperimento su me stesso. Sappiate che le parole per definirle non esistono, le ha inventate lo stesso Koenig spiegandovene l’etimologia voce dopo voce, mettendo insieme lingue vive e morte e riferimenti culturali di ogni tipo.
71T0e06FvuL. AC UF10001000 QL80  IL DIZIONARIO DELLE TRISTEZZEMi è stato suggerito di leggerlo perché vivendo di ansie sono un test perfetto, ma ognuno di voi troverà le sue tristezze a cui prima non aveva mai pensato di dare un nome. Per esempio ho scoperto di essere affetto da dès vu, cioè la consapevolezza che il momento che stai vivendo diventerà un ricordo, l’incapacità di vivere il presente. Perché sento sempre che tutto invecchia.
Ma come non sei felice? Penserete. A volte! Ma soffro di kairosclerosis, secondo il termine inventato da Koenig, ossia proprio quando ti accorgi che sei felice ti accorgi anche della fugacità della felicità. Per il momento attuo quella che Koenig ha definito il cullaways, cioè la dispersione dei ricordi che il tuo cervello si impegna a dimenticare in ogni momento, cancellandoli uno dopo l’altro senza alcun suggerimento da parte tua. In realtà non lo faccio in maniera inconsapevole, piuttosto faccio come Andy Warhol: Sono un registratore con un solo tasto, con su scritto CANCELLA.
Anche perché più si va avanti con gli anni più ci si trova immersi nella Zeno sYne, ossia la sensazione che il tempo magari stia scorrendo più velocemente, che ogni anno valga un po’ meno del precedente; quando i tuoi vent’anni entrano vorticosamente nei trenta senti che il cerchio inizia a restringersi, e tutto d’un tratto ti rendi conto che il cerchio è una spirale, e che tu sei già a metà strada. E quando cominciamo a dire «sembra ieri», e sono passati invece dieci o venti anni.
Non ho mai provato il foreclearing, ovvero il rifiuto deliberato di apprendere spiegazioni scientifiche delle cose per paura che sciupino la magia, anzi al contrario mi piace molto dare spiegazioni scientifiche a chi ha il foreclearing, proprio per sciupargli la magia, e ciò mi rende allegro.
Troviamo poi l’amoransia, cioè quel brivido melodrammatico di un amore non corrisposto, il desiderio di struggerti per qualcuno che non potrai mai avere, ce l’ho infatti per tutti i miei amori impossibili, che non sanno neppure della mia esistenza.
Poi c’è Il Moledro che non è una malattia infettiva, ma quella sensazione di avere un importante legame con un autore o un artista che non incontrerai mai, qualcuno che può essere vissuto anche secoli prima di te o a migliaia di chilometri di distanza ma che riesce ancora a entrarti nella testa, questa è una tristezza facile, ce l’ho, per Freddie Mercury e Vasco.
Credo di provare anche il bellissimo McFly effect, perché l’autore ha coniato il termine da uno dei miei film preferiti in assoluto: Ritono al futuro, riferendosi quindi a Marty Mc Fly, che sarebbe il fenomeno dell’osservare i tuoi genitori mentre interagiscono con persone che conoscono fin dall’infanzia, il che fornisce una versione delle loro personalità offrendo uno scorcio dei tipi che erano un tempo prima che tu entrassi in scena. Davvero straniante, perché ti rendi conto che tu non esistevi e loro si, e loro non erano neppure loro. Koenig dice che proviamo una tristezza perché come McFly avremmo voluto essere lì e vederli, io sono peggio: fossi stato al posto di McFly avrei cercato di non farli mai incontrare. Perché, leopardianamente, «è funesto a chi nasce il dì natale», e stavo cosi bene prima, quando non c’ero.
Non soffro invece di hobsmacked, ossia del diventare improvvisamente consapevole di quanto sia limitata la tua cerchia sociale; del fatto che, sebbene l’ambiente che ti circonda ti sembri un microcosmo della società, in realtà è più simile a una busta piena di pesci esotici che galleggiano sulla superficie di un enorme acquario brulicante di sottoculture misteriose che ti sbalordiranno quando le vedrai da vicino.
Su questo non scherziamo! Ci ho messo quarantacinque anni a trovarmi i miei pesci esotici, figuriamoci se ho voglia di andare a cercarmene altri e pure di restarne meravigliato. Stiano a brulicare dove sono, io non sono un pescatore sociale, e questo sì che mi rende molto meno triste e più felice.