WHO WANTS TO LIVE FOREVER?

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  –   di Peppe Rock Suppa   –                                
Who wants to live forever? Si chiedevano i Queen: a dire il vero, per quanto io ami Freddie Mercury, non l’ho mai capita, ma chi vuole vivere per sempre? Cioè mi viene da pensare, ma chiunque vuole vivere per sempre, siete scemi? Mi è sempre sembrata la consolazione di chi, dovendo morire, si convince che in fondo va bene così, tanto non ci si può fare nulla.
Era la colonna sonora del film Highlander, dove c’erano degli immortali che si uccidevano l’un l’altro, e il premio finale, per l’ultimo rimasto, era di poter invecchiare come tutti gli altri.
Bel premio, invecchiare.
Chi vuole davvero vivere per sempre? La maggior parte delle religioni si reggono proprio perché promettono la vita eterna, anzi, il paradosso massimo: la vita dopo la morte. Muori, ma poi rivivi. Non si sa né dove né come, ma vivrai per sempre. In cielo, dicono. Tipo vicino a Plutone, o su Proxima Centauri?
David Goodall WHO WANTS TO LIVE FOREVER?
David Goodall

Ma forse avevano ragione i Queen. David Goodall, uno scienziato australiano di 104 anni, nel 2018 scelse l’eutanasia, seppur non avesse nessuna malattia. Era sano come un pesce ma stanco di vivere. C’era da capirlo, dopo più di un secolo si era rotto le palle. Senza contare che la maggior parte dei suoi cari erano tutti morti da tempo, proprio come succedeva in Highlander, la tragedia degli immortali: vivevano per sempre, ma senza affetti, gli altri morivano, e cosa te ne fai di un’eternità se sei solo?

«Mi dispiace profondamente di aver raggiunto la mia età», disse Gondall il giorno del suo centoduesimo compleanno. «Non sono felice, voglio morire, non è particolarmente triste. La cosa triste è evitare di farlo, la mia sensazione è che una persona vecchia come me deve poter beneficiare dei suoi pieni diritti come cittadino, incluso il diritto al suicidio assistito».
Aveva perfettamente ragione, svelando lucidamente la vera tragedia della vita, che non è solo quella di morire giovani, ma anche di vivere troppo a lungo da vecchi. Sentiamo dire che la vita comincia a quarant’anni (dai quarantenni), la vita comincia a cinquant’anni (dai cinquantenni), la vita comincia a sessant’anni (dai sessantenni) e così via, stronzate. Tutte bugie.
Senza contare la noia. Per esempio Jonathan Swift nel suo grande romanzo I viaggi di Gulliver porta il suo protagonista a incontrare un popolo di immortali, gli Struldbruggs. «Arrivano alla soglia dei sessant’anni con la terribile prospettiva di non morire mai. Le loro uniche passioni sono l’invidia per i vizi dei giovani e per la morte dei vecchi. I meno sciagurati sono quelli che rincoglioniscono perdendo la memoria. Un che di spettrale si impossessa di loro e aumenta con gli anni».
Il problema è che, arrivati a metà della vita, l’altra metà della vita non è uguale a quella che hai vissuto, è peggio, quando non molto peggio. Come minimo passi da un ospedale all’altro, tra un controllo e l’altro, mentre aumentano acciacchi e medicine. Io sono così terrorizzato della vecchiaia che a cinquant’anni voglio consegnare subito la prostata, per non pensarci più.
Intanto la scienza ci consola dicendo che grazie alle nuove cure e ai progressi della medicina andiamo verso una società di centenari. Ma l’elisir di lunga vita non sarà quello dell’eterna giovinezza: non possiamo fare nulla sul nostro cervello. Il professor Mauro Giacca, per esempio, insigne biologo molecolare, ci informa che oggi in Europa una persona su tre che ha superato gli ottant’anni è un demente, e prevede: «Avremo una società in cui i due terzi saranno persone fisicamente perfette, sanissime, ma dal punto di vista cerebrale saranno dei dementi, dei decerebrati».
Ecco, Goodall scelse di morire perché non ce la faceva più. Era pieno di acciacchi, annoiato, e sarà stato tutto quello che volete, ma in fondo non era ancora così rimbambito dal voler vivere per sempre. Prima di morire, e non come un condannato a morte ma alla vita, scelse i suoi cibi preferiti: fish and chips e una fetta di cheesecake per poi farsi iniettare barbiturici con in sottofondo delle note dell’ultimo movimento dell’Inno alla Gioia di Beethoven.
Non si era stancato della vita, si era stancato della vecchiaia.