Grazie, Presidente

1
di Vincenzo D’Anna*
Confesso che non ho mai prestato molta attenzione al tradizionale messaggio che il Capo dello Stato rivolge, per lunga consuetudine, al popolo italiano. Mi piacevano quelli, schietti e diretti, di Sandro Pertini, dai quali trasparivano la passione, l’intelletto, il richiamo ai valori civici e politici per i quali il leader socialista aveva vissuto e combattuto. In bocca a lui, parole come libertà, diritti, solidarietà e dignità erano vive e credibili, non di circostanza: sentimenti per i quali l’ex partigiano aveva sofferto il carcere e l’esilio durante il ventennio fascista. La potevi pensare come volevi politicamente rispetto alla sua estrazione socialista, ma ti dovevi togliere il cappello innanzi all’esempio che veniva da quell’uomo alla luce della idealità che irradiava verso le persone. Non male anche Francesco  Cossiga, il “picconatore”, il parlamentare sardo che chiamava per nome le cose e tal quale le esponeva. Colto giuridicamente, il più giovane professore ordinario  salito in cattedra universitaria, avveduto politicamente, l’ex ministro dell’Interno seppe per primo denunciare i limiti ed il declino della prima Repubblica, l’asfissia dei partiti, la decadenza culturale e le compromissioni di una classe politica divenuta ormai una nomenclatura. Anticipò per tempo l’invadenza dei giudici e gli abusi di coloro che, indossata la toga, non rispondevano poi delle proprie azioni e dei propri errori, fino a trasferirsi, con tanto di corazzieri a seguito, dagli uffici del Quirinale in quelli di Palazzo dei Marescialli sede del Consiglio Superiore della Magistratura. Cossiga aveva ben intuito le collusioni di una parte di quei togati con la sinistra, finendo  poi per essere finanche oggetto di una mozione di sfiducia proposta dal Pci. In seguito da quello stesso Colle, da altri Presidenti vennero discorsi paludati, pronunciati in “politichese”, ricchi di una semantica altera che ben poco venivano condivisi dall’uomo qualunque. Passerelle, esortazioni prevedibili, interventi basati su canovacci scontati ed ovvie finalità, privi di qualsiasi mordente. Sentendo, nell’ultimo giorno del 2023, Sergio Mattarella mi sono dovuto ricredere e compiacermi con il Capo dello Stato per aver rintracciato, nel suo dire, antiche passioni, un’insperata schiettezza, un afflato coinvolgente che ha toccato tutti i punti nevralgici delle vicissitudini umane, sociali e politiche che assillano il Belpaese. Era il Capo degli Italiani a parlare, il primo responsabile ed il depositario delle prerogative costituzionali che proteggono i cittadini e reggono la Nazione. Mattarella non ha mancato nessun argomento, nessun punto dolente: non ha fatto ricorso né alla retorica né agli infingimenti di solito cari a certi politici navigati. In primis, la sua è stata una “lectio magistralis” sui diritti costituzionali da garantire, sul significato sostanziale e pratico che questi rappresentano come insostituibile architrave della civile e pacifica convivenza umana. Il Presidente della Repubblica ha richiamato il diritto dovere degli Italiani a decidere utilizzando il voto, “arma legittima”. Non c’è potere o strumento, infatti, che possa sostituire questo principio democratico, l’unico in grado di conferire legittimazione a coloro i quali sono stati chiamati ad esercitare il potere. Mattarella ha avvertito che non esistono surrogati o sostituzioni a quello strumento per creare potentati e pretese di governo. Insomma: ha detto pane al pane e vino al vino denunciando le carenze dei servizi sanitari e la scarsa efficienza dell’assistenza agli anziani, invocando, per questi ultimi, rispetto e gratitudine; ha invocato la riconoscenza per il lavoro, il risparmio e le cose edificate che hanno consentito ai giovani di goderne poi in seguito. Fossi il premier in carica, dopo quelle parole, avrei subito messo mano ad una vera e propria rivoluzione del Welfare State, del potenziamento della rete assistenziale, iniziando con il debellare le liste di attesa, la solitudine e l’abbandono dei nostri nonni. Quello che non poteva dire ma che, chi è dotato  di intelletto, ha comunque colto, è la richiesta di inserimento, in quel sistema socio sanitario, di criteri di misurazione, da parte di enti terzi, di efficienza, produttività e merito, alla competizione che porti benefici e risparmi. Insomma: la vecchia lezione Sturziana di porre l’Uomo ed i suoi bisogni al centro della società. Soddisfarli garantendo libertà di scelta e di impresa. Mattarella ci ha ricordato che il progresso tecnologico reso ancora più veloce grazie all’intelligenza artificiale (che si auto alimenta), deve rimanere una conquista al servizio dell’uomo. Cioè un nuovo umanesimo non succubo delle macchine, che non rinunci ai valori ed all’etica che guidino le persone in una società che resti umana. Senza questa recrudescenza di cultura le nuove leve non avranno né limiti, né punti di riferimento. Nessuno può voltarsi dall’altra parte innanzi al bisogno degli altri, ha detto il Capo dello Stato, per dire che l’economia, per quanto vitale, non deve mai precedere la Politica, la solidarietà e la democrazia popolare. Chiacchiere di fine anno? Buoni propositi? Il solito pistolotto? Nossignore!! Sergio  Mattarella ci ha fornito coraggio ed indirizzo facendoci capire che sul più alto Colle di Roma c’è una tutela per tutti noi. Grazie, Presisente. Buon anno nuovo!!
*già parlamentare

1 commento

Comments are closed.