LA TERMINOLOGIA OGGI DELLA DISABILITA’…

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Nel XXI secolo il termine disabile usato come sostantivo dovrebbe essere bandito perché risulta offensivo e discriminatorio: una persona si chiama esattamente per nome non certo per la sua caratteristica anche perché bisogna tener conto che Person First Language ossia prima la persona è un approccio che da precedenza appunto alla persona infatti; tale approccio è stato utilizzato anche nei casi di altre condizioni oltre che di disabilità, nell’esempio persona con autismo, persona con celiachia; nell’ Identity first Language ovvero prima l’identità come approccio che abbraccia l’identità della persona, rivendica con orgoglio la condizione della persona come parte integrante ed essenziale del soggetto stesso, vedendola come inseparabile dalla personalità, esempio persona disabile, persona autistica, persona celiaca. Entrambi gli approcci sono validi e utilizzabili perché rispettabili della disabilità, l’importante è anteporre sempre la persona alla disabilità e non viceversa. La storia insegna che atteggiamenti compassionevoli non aiutano le persone disabili ma la partecipazione e il coinvolgimento fanno sentire utili, occorre dunque impegnarsi affinché la persona con disabilità venga veramente rispettata, utilizzando supporti in grado di fornire il necessario sostegno, per consentire l’espressione del proprio pensiero e la volontà senza che nessuno si sostituisca per limitarne la libertà di espressione.

Per concludere il diritto fondamentale, l’obiettivo da raggiungere è l’inclusione oltre che l’integrazione che pone l’accento sulla diversità, che deve riguardare tutti i contesti di vita grazie anche a giusti sostegni di cui una persona necessita in una determinata situazione per arrivare a un risultato che duri nel tempo a prescindere o meno dalla disabilità. Sarà possibile normalizzare la disabilità i ogni contesto dalla scuola alla società tutta, se si anteporrà la persona alle sue difficoltà, se si considererà la persona con il bagaglio di emozioni e sentimenti, col proprio carattere fatto di pregi e difetti, senza utilizzare appellativi che possano ledere la sua sensibilità e sminuire o mancare di rispetto, non considerando il disabile qualcuno necessariamente da dover o voler curare.

9 Commenti

  1. Questo articolo deve farci riflettere tantissimo. Le parole hanno un peso e possono incidere tanto. È comunque questione di sensibilità ed empatia che molto spesso manca in persone che si ritengono ” normali”…..

  2. Concordo sul tema del tatto e dell’approccio.
    Sono doti che hanno soltanto coloro i quali sono dotati di sensibilità ed empatia. E queste doti sono innate,le puoi coltivare e far sbocciare,non le puoi improvvisare o inventare.
    Per il resto articolo molto chiaro come sempre,e come sempre offre prospettive non convrnzionali e per questo acute e affascinanti.

  3. Il linguaggio che si usa è molto importante. Chiamare una persona “disabile” anziché per nome è deumanizzante. Tutti dovrebbero tener conto della Person first language e dell’Identity first language. L’identità viene prima di tutto. Già solo se iniziassimo tutti a parlare tenendo conto di questi due concetti, sarebbe un grande progresso umano.
    Grazie, Dottoressa! Un articolo meraviglioso!

  4. Come sempre grazie per i tuoi articoli, che vengono da me letti con immenso piacere.
    Buon weekend

  5. Vero dottoressa a volte manca proprio il tatto. E’importante la terminologia e molti non sanno usare le parole appropriate.

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