– di Ciro Scognamiglio –
Ennesimo sodalizio artistico tra Martin Scorsese e Robert De Niro è senza dubbio il film Cape Fear- Il promontorio della paura del 1991. Remake de Il promontorio della paura di J. Lee Thompson del 1962 a sua volta tratto dall’omonimo romanzo di John D. MacDonald. Il thriller segue la storia dell’avvocato Sam Bowden e della sua famiglia perseguitata dall’ex galeotto Max Cady in cerca di vendetta verso Sam, suo difensore in un processo per stupro 14 anni addietro dove secondo Cady l’avvocato non aveva fatto tutto quello che poteva per difenderlo.
È sicuramente Max Cady il personaggio che rimane nella memoria dello spettatore dopo la visione della pellicola, non a caso il ruolo valse la candidatura agli Oscar come miglior attore non protagonista per Robert De Niro, il quale riesce a trasportare sul grande schermo uno degli psicopatici più disturbanti della storia del cinema. Cady è il pericolo del film e si percepisce ciò sin dalla prima iconica scena della sua scarcerazione; è un uomo divenuto estremamente intelligente e colto grazie alla lettura di centinaia di saggi durante i suoi 14 anni di reclusione, sviluppando uno spiccato acume e una percezione di sé narcisistica dovuta a un’erronea interpretazione degli scritti del filosofo Nietzsche(del quale si può notare all’inizio una foto appesa nella cella); più volte infatti nel corso della storia citerà impropriamente i concetti del filosofo tedesco come la morte di dio e si definirà spesso come un oltreuomo.
Perfettamente consapevole della legge e dei suoi limiti tormenterà la famiglia Bowden in tutti i modi: li osserva, li spia, avvelena il loro cane, stupra l’amante di Sam, molesta la figlia dell’avvocato, fino al punto in cui l’avvocato paga dei teppisti per far percuotere Cady. Azione che fallisce miseramente ma anzi permette al criminale di ottenere un ordine restrittivo nei confronti dell’avvocato il quale rischia anche il depennamento dall’albo. Sam allora organizza una trappola per Cady con l’investigatore privato Kersek, ma anche qui il risultato sarà tragico con Cady che riesce a uccidere Kersek inscenando un omicidio in modo da incastrare Sam, costringendo la famiglia Bowden alla macchia solo per poi raggiungerli sul loro battello e svelare il proprio piano.
Cady infatti sapeva che l’avvocato aveva deliberatamente occultato dei documenti che avrebbero permesso a Cady di non finire mai in prigione nonostante il crimine efferato. Facendo ciò l’avvocato ha commesso un triplice tradimento: nei confronti del suo cliente che aveva giurato di aiutare, nei confronti del giuramento che aveva prestato una volta divenuto avvocato e nei confronti degli Stati Uniti per i quali aveva giurato di svolgere la sua professione nel migliore dei modi. Sarà lo stesso spettatore che farà la parte del giudice nel finale grazie alle magistrali inquadrature e ai movimenti di macchina di Scorsese. La domanda quindi è chiara: E’ giusto venir meno alla propria professionalità e celare la verità quando la morale ce lo impone? Certo Max Cady è un mostro e meritava senza dubbio il carcere ma allo stesso tempo meritava la prestazione promessagli dal suo avvocato il quale era vincolato da un giuramento.
In un certo senso a conclusione dell’opera Cady riuscirà ad ottenere la sua vendetta, a “uccidere” Sam Bowden così come lui lo aveva ucciso 14 anni addietro, cambiando per sempre la vita di Sam così come quest’ultimo aveva cambiato per sempre la sua, rimanendo indelebilmente nella mente dei membri della famiglia Bowden e portando l’avvocato a non uscire mai più dai paletti imposti dalla deontologia, neanche qualora fosse l’Etica fatta carne ad imporglielo.