CHI SEI, ELIOGABALO?

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pesco 1 scaled CHI SEI, ELIOGABALO? –   di Fulvia Schirone  

(3° classificato Premio “Anna Castelli” – 2017)

      Il ragazzo, uomo, bambino, bambina, donna… di cui scriverò era conosciuto con il nome di “Eliogabalo”.
Ne dissero tante su di lui, ma nessuno lo conosceva sul serio, il popolo romano seguiva semplicemente ciò che viene comunemente chiamata “ignoranza di massa”… tanti, tanti, tanti, troppi pettegolezzi.
Una sola parola e si creavano tante falsità, e i romani ci godono.
“Verba volant, scripta manent”: ecco perché ho deciso di scrivere su di lui, affinché qualcuno conosca la verità e la “damnatio memoriae” possa essere annullata.
Non era un trans, non era un pessimo imperatore e non era pazzo, era semplicemente se stesso e non era stato lui a decidere di diventare imperatore, è il fato che sceglie per te, tu puoi solo vivere e cibarti di ciò che ti offre.
Io stessa un po’ ci prendevo gusto a sentire certe sciocchezze, ma era lui a goderci di più.
Avevamo uno strano rapporto, in fondo io ero solo una delle sue tante schiave, ma mi piaceva osservarlo. Mi ha insegnato molte cose, quella più importante è proprio quella di cui sto usufruendo in questo momento: la scrittura.
Le donne sono ignoranti ed è da quando lui mi ha insegnato ad amare tutto questo; la filosofia, l’arte, la scrittura… è da quel giorno che sono cambiata e me ne sono resa conto.
Il fatto è che non è colpa di noi donne, è colpa degli uomini. Sono tanto fieri e tanto selvaggi, ma sono sicura che lo fanno apposta a non insegnarci nulla e a trattarci con inferiorità, hanno paura della verità; le donne e gli uomini non dovrebbero essere visti allo stesso modo? Non è questo ciò che i Greci intendevano con la parola ‘’democrazia’’? Siamo tutti uguali.
Dovremmo ricordarcelo, di tanto in tanto.
Tutte le donne dovrebbero imparare, dovremmo avere la possibilità di vivere la vita completamente e intensamente, e invece…
Io sono una delle poche donne di Roma a saper scrivere e a conoscere la filosofia, la letteratura, la scrittura… e lo devo tutto a lui, a quell’imperatore che tanto il popolo ignorante ha odiato e massacrato fino all’ultimo secondo della sua vita, a partire dalla sua famiglia.
Circa qualche giorno fa ho saputo della sua morte, è stato ucciso con la madre a soli diciotto anni, non so né dove, né il perché esattamente.
Ovviamente non lo saprò mai, sono una donna e sono anche una schiava, questo è il mio destino e lui è stato l’unico uomo a farmi sentire amata per quello che sono e per quello che ho dimostrato: capacità intellettive e tanta voglia di imparare, di vivere.
Sono arrivata qua alla domus quando avevo quattordici anni, lui ne aveva quindici.
Dovevo fare la schiava ad un uomo più grande di me di soltanto un anno e questo mi rendeva particolarmente indignata, ma che potevo farci? Vengo da un luogo lontano di cui non ricordo neanche il nome, ero molto piccola quando mi hanno rapita, non ho mai conosciuto i miei genitori, c’era la guerra e sono sempre stata venduta, di uomo in uomo, di regione in regione, di città in città. Non ho mai capito l’utilità della mia vita, non me la sono mai neanche mai chiesta, non c’è tempo di ragionare, c’è solo l’istinto di sopravvivere.
Appena arrivata mi hanno messo a sua disposizione, dovevo vestirlo quando ne aveva voglia, spogliarlo, cucinare, andare a comprare il cibo al foro, prostituirmi se lo richiedeva, la mia era una vita passata ad assistere un uomo di potere.
Mi guardava con aria affranta; eravamo due ragazzini e non gli interessava governare, né su di me, né su Roma, seguiva ciò che sua madre, sua zia e sua nonna gli raccomandavano di fare, sedute sulle poltrone imperiali a bere vino e ad ubriacarsi.
“Questo è ciò che un imperatore ha il potere di fare, coraggio, fallo!”
“Puniscilo!”
“Uccidilo!”
“Bevi con noi!”
“Conquista!”
“Schiaffeggia la tua serva, non si è comportata a dovere!”
Queste erano le frasi che ogni giorno gli ripetevano, lui le ascoltava, ma in fondo lo faceva solo per non creare discussioni, era un ragazzo pacifico e non si sognava neanche di andare contro la volontà della sua famiglia.
Credeva in ciò che gli imponevano, divinità, strane creature… io non ci capivo niente e confesso di non capirci niente tuttora. Seguiva riti orientali e spesso non lo vedevo nel palazzo, spariva per conto suo a pregare le sue strane divinità insieme alla nonna, la zia e la madre.
Quando restavo giù a pulire ogni angolo della casa lui mi raggiungeva e mi parlava di ciò che stava imparando, è così che apprendevo, lui mi trattava come se fossi una persona normale, come un altro uomo… mi diceva di stare tranquilla, che non avrebbe permesso di uccidermi neanche a sua nonna e io gli chiedevo se era necessario pulirgli l’abito o cambiargli la cintura per paura che qualcosa non andasse, non sapevo neanche come comportarmi con una persona che mi trattava in modo differente, che mi faceva sentire “protetta” in un mondo dove gli uomini poveri vengono trattati come animali, se non peggio.
I giorni sono passati velocemente e siamo cresciuti insieme, lui diventava sempre più bello ma sempre più odiato, ed io sempre più in pericolo dato che strane voci circolavano sul nostro conto, alcune vere, altre false.
Le donne di casa e gli altri schiavi stavano iniziando ad accorgersi del nostro rapporto e non gli avrebbero mai permesso di continuare a farmi lezioni come a una normale donna aristocratica o un uomo.
Ricordo tante stranezze, tante particolarità che lo differenziavano da tutti gli altri imperatori o uomini di politica, lui era divertente e particolarmente pazzo o voglioso di farsi ammazzare, questo non l’ho mai capito fino in fondo veramente bene.
Durante i banchetti ordinava a me e gli altri schiavi di far scendere i leoni e le altre bestie feroci che lui stesso decideva di ammaestrare tra gli invitati, si divertiva particolarmente a prendersi gioco dei romani e questo danneggiava davvero molto la sua figura così imponente.
“Finirai per farti ammazzare…” gli ripetevo sempre quando eravamo nel suo letto.
“Se accadrà sarò pronto, preferisco morire giovane piuttosto che non divertirmi adesso”.
Ed io gli sorridevo, scuotendo la testa, era davvero insanus, ma era proprio per questo che lo amavo.
Egli andava a letto con tante schiave, addirittura con altri uomini ed io non potevo farci nulla… non eravamo sposati, né amici. Egli aveva addirittura cambiato moglie due volte, per un totale di tre mogli. La verità è che provava solo tanta compassione per me e forse a volte un briciolo di sentimento, ma io lo apprezzavo, mi bastava questo, anche se ogni volta che lo vedevo con altri in quel letto, bruciavo. Lui, invece, faceva finta di niente, era normale per un imperatore avere tutto a momento debito.
Per me, invece, era normale essere picchiata almeno cinque volte al giorno, stuprata da uomini diversi al mercato e trattata come un insetto dalle donne ricche, non davo neanche più tanta importanza alla mia vita perché c’era Eliogabalo a farmi stare meglio con le sue stranezze, la sua insensata voglia di truccarsi nei momenti meno opportuni o di far spaventare gli altri, le poesie greche d’amore che mi leggeva la sera prima di andare a dormire. Per me era come uno scrigno pieno di speranza, e perderlo mi ha davvero distrutta.

Ricordo la prima volta che mi rivolse la parola, eravamo soli nella sala da pranzo, ero dietro la sua sedia aspettando che finisse di mangiare per portare le suppellettili a lavare e sistemare il tavolo, versandogli le ultime gocce di vino che alla fine di ogni banchetto venivano sempre versate.
Era l’inizio della mia vita da schiava in quel luogo così importante e per l’emozione (o paura, ancora non so descrivere quel sentimento) feci cadere il piatto di ceramica a terra che si ruppe in tanti piccoli pezzi.
“Perdono, chiedo perdono con tutto il cuore … ora sistemo tutto”.
Con il terrore negli occhi, mi abbassai per provvedere a quel brutto incidente e sua nonna mi guardò con aria di sufficienza, come era solita fare, scuotendo il ventaglio sul viso.
“Sta zitta e pulisci, schiava. Non dovresti neanche sapere cos’è un cuore”.
In realtà aveva ragione, non avrei dovuto saperlo, le schiave non avevano il diritto di conoscere la scienza, né quella del nostro corpo, ma durante uno dei primi viaggi da schiava assistetti a una morte di un altro nobile, il mio primo capo, non ricordo il suo nome, ma ricordo la scena: c’era un medico vicino a noi e disse che il cuore si era fermato. Io confusa non capii, ma cercai di ascoltare con attenzione, come avevo sempre fatto, ed è così che imparai di cosa si trattava.
A Roma lo sentivo continuamente nominare; “la ringrazio con tutto il cuore”, “la prego, ve lo dico con il cuore”, insomma, era normale conoscere quei modi di dire.
Ad ogni modo, io annuii e chiesi scusa con aria affranta; sembravo un cagnolino in pena.
A quel punto intervenne lui, che con fare molto elegante accennò una risata, sorseggiando dal bicchiere di vino.
“Addirittura…”
La donna si alzò, precipitandosi in camera da letto e dando la buonanotte al nipote… così rimanemmo da soli e avevo paura di essere molestata, poiché anche se era diventato normale per me, prima che succedesse ero sempre spaventata.
“Vuoi che ti aiuti?”
Mi rivolse lo sguardo, bisbigliando a bassa voce per paura di farsi sentire dalla nonna che ancora camminava lentamente nel corridoio.
“C-cosa?”
Balbettai, alzando lo sguardo verso di lui, confusa da quella domanda che non avevo mai sentito durante tutta la mia vita.
“Lasciala stare quella vecchia decrepita, è la vecchiaia a renderla così irritante, ma di solito, ti assicuro, è una pacioccona!”

Si pulì la bocca con il tavolo rosso reale e si inginocchiò davanti a me, sorridendomi col suo fare dolce e premuroso.
Io non gli rispondevo, ero immobile, non potevo davvero crederci.
“Non ci siamo neanche mai presentati, mi chiamo Marco, piacere, e tu?”
Mi pose la mano come se fosse tutto normale.
Proprio come fossi un uomo.
“D-D-…”
“D, eh? Che nome! I tuoi genitori ti hanno voluta proprio male!”
Ridacchiai a voce bassa, incredula, continuando a prendere quei pezzettini di piatto rotto infilandoli nel fazzoletto.
“Decia”.
“Decia, eh?”
Mi sorrise di nuovo, ma questa volta in modo diverso, sembrava quasi intenerito dalla mia reazione. Poi, mentre mi aiutava a sistemare quei pezzetti, sentii la sua mano sfiorare la mia e subito mi alzai, prendendo un altro fazzoletto per pulire la sua mano che aveva sfiorato la mia.
“Mi scusi, mi scusi davvero, la pulisco subito!”
Esclamai, sobbalzando e facendomi venire dei crampi al cuore dalla paura.
“Che?”
Si alzò, alzando un sopracciglio e inclinando il viso, assistendo confuso a quella scena ridicola.
“Mi perdoni, farò subito, mi perdoni, davvero…”
“Ma che stai dicendo?”
Rise, prendendomi per un polso e guardandomi negli occhi mentre con l’altra mano posò quel fazzoletto che mi ero tanto preoccupata di prendere per pulirlo, ancora una volta.
“Devi rilassarti un po’ di più, va bene? Tu sei come me… non c’è bisogno che ti spaventi tanto di toccare un’altra persona”.
“M-Ma… io…”
Abbassai il viso per la vergogna che provavo, avevo paura che arrivasse da un momento all’altro la nonna e mi picchiasse, avevo paura del contatto umano.
“Guarda, ti faccio capire”.
Mi prese la mano e la alzò all’altezza dei nostri visi, poi la fece coincidere con la sua.
“Esattamente identiche…”
Continuò.
Quella fu la prima volta che qualcuno mi parlò in quel modo.
Quello fu il suo primo insegnamento per me.
Quello fu l’inizio di una bella storia di cui nessuno mai seppe l’esistenza.