– di Vincenzo D’Anna * –
Ci fu il tempo nel quale si sceglieva di far politica per credo ideale, per indole ed ammaestramento. Sì, ammaestramento sotto forma di catechesi, parola che in greco significa istruire a voce alta, ovvero nei modi e nelle forme che si confacevano alla fede, in questo caso la fede laica del servizio alla collettività. Per i giovani del secolo scorso, di credo cattolico, erano fondamentali, le letture e gli insegnamenti che in genere attingevano alla militanza nelle fila dell’Azione Cattolica e poi della FUCI, la Federazione Universitaria Cattolici Italiani. Per quelli di diverso orientamento politico contavano la tradizione familiare, la militanza di partito e per più bravi la scuola di partito, che formava quadri e dirigenti. Una strutturazione culturale ed ideologica che avrebbe fatto da viatico ai futuri impegni politici. Per i giovani Cattolici le letture di base erano: La dottrina sociale della Chiesa incartata nell’enciclica Rerum Novarum, di Papa Leone XIII, un cuneo ideologico che la stessa Chiesa inserisce tra le dottrine socialiste e quelle liberali. Seguiva la storia del cattolicesimo politico, dall’opera dei Congressi di Romolo Murri all’appello ai “Liberi e Forti” di Don Luigi Sturzo, con il rientro in politica dei cattolici, dopo la presa di Porta Pia, l’unificazione d’Italia, la fine del regno pontificio e del potere temporale del papa. Lo studio si allargava anche all’interesse verso il mondo del lavoro con il sindacalismo e le leghe bianche, le dottrine economiche interclassiste dell’economista Giuseppe Toniolo. E così via fino alle vicende del fascismo e il dopoguerra con la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi. Un bagaglio che sostanziava una presenza ed una militanza convinta, messa successivamente in pratica sul campo, nelle campagne elettorali e, infine, con la candidatura dei più capaci per la misurazione del consenso elettorale.
Sembrano le parole di un reduce, un polveroso testimone di una stagione remota della politica, quella nella quale i valori politici, i saperi, la cultura, la militanza erano il tratto distintivo. Sono passati, certo, alcuni decenni prima che i partiti venissero destrutturati, privati del finanziamento pubblico per finire nelle mani di plutocrati e di padroni. Lo scadimento della preparazione politica è stato continuo e progressivo nel tempo, fino a divenire un fardello del quale addirittura liberarsi a vantaggio di volti telegenici con loquela disinvolta. Una generale follia, innescata da Tangentopoli e le sue lacunose e strabiche indagini, sulla corruzione che lasciò vivi e vegeti solo i partiti della sinistra post-marxista.
Allora occorrerebbe rifondare una scuola perché i giovani possano imparare la politica, insieme ad una vasta iniziativa politico-referendaria per chiedere al Parlamento di adottare la legge che trasformi i partiti in enti di diritto pubblico. Non semplice come compito, né facile e tuttavia possibile vista la posta in gioco.
Occorrono risorse intellettuali, organizzazione, finanziamenti, pubblicità e partecipazione popolare. Se chi fa politica non distingue le diversità esistenti tra forze politiche, sulla base della loro storia, non viene catechizzato, continuerà a scegliere la convenienza ed il piccolo interesse e la politica resterà il luogo del mercimonio e del compromesso. Tuttavia, per quanto arduo possa essere lo sforzo, occorre entusiasmo e chiamare i giovani a partecipare ad una scuola di formazione politica. Ascoltare una serie di lezioni magistrali che eminenti politici, uomini di governo e di partito, sindacalisti e rappresentanze dei partiti politici potrebbero tenere per catechizzare i partecipanti. Confronto tra leader, sindacalisti, economisti, storici di formazione culturale diversa, per giungere alla definizione di una personale opinione politica da parte dei partecipanti. Insomma uscire dal basso dal pantano nel quale guazza l’apolitica odierna. Non sono un lodatore dei tempi che furono, sono solo un testimone di tempi diversi e proficui per politiche che hanno fatto crescere l’Italia e gli Italiani, di lotte per emancipazione degli ultimi ed il sostegno ai bisognosi.
Perché non può nascere da Caserta questo movimento di uomini e donne che hanno in animo di essere istruiti nella politica? Far nascere all’ombra della Reggia Vanvitelliana una scuola di formazione politica significherebbe cominciare a risalire la china preparando la classe dirigente del futuro. In questo crogiolo di iniziative, con le partecipazioni di personalità nei vari campi delle tematiche politiche e sociali potrà certamente nascere di positivo anche altro.
Ad esempio, un elaborato da affidare ad un più vasto movimento nazionale per una legge che trasformi i partiti politici in enti di diritto pubblico, amministrativamente controllati da un’authority indipendente, finanziata dallo Stato, con percorsi democratici verificati di selezione della classe dirigente. Insomma, far partire da Caserta una scintilla culturale, una sfida alla palude ed all’immobilismo politico. Il sub strato civico certo non è’ che quello di una città di provincia, peraltro costantemente tra gli ultimi posti nelle graduatorie di vivibilità. Ma valga per i Casertani anche l’ambizione di essere cresciuti all’ombra di incantevoli giardini e palazzi regali, di opere d’arte e bellezze naturali, di un’idea di grandezza della vita che possa ispirare le coscienze dei migliori
* ex parlamentare