ECO DEL SILENZIO   

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   –   di Adriana Castello   –                                                             

Caspar David Friedrich Paesaggio montano con arcobaleno1809 1810 ECO DEL SILENZIO   
“Paesaggio montano con arcobaleno”  – 1810 –   Dipinto ad olio di Caspar David Friedrich-

Guardare, guardarsi.

Comprendere, comprendersi.

Qual è la differenza?

Osserviamo un dipinto: la flebile incertezza del giudizio, la candida ignoranza, la fame di comprensione ingabbiano l’inesperta ingenuità del tentativo, artista della tela ormai pervasa dai colori che più conosciamo, ignoriamo e temiamo. Il dipinto risulta così un ritratto, tanto veritiero quanto il ritratto stesso, la cui essenza vibra delle sfumature dell’ignoto e della calda luce dell’agognato orizzonte. Lo sguardo si ferma lì e lì inizia il suo viaggio: timoniere di una nave i cui unici passeggeri sono le domande senza risposta e le urla senza fiato che si stagliano contro l’imbarcazione tanto forte quante le onde di quel mare furioso. Il fondale ingabbia il tuo riflesso, i cui contorni sono alterati dall’acqua torbida e densa che avverti nel petto: trattieni il respiro, ansimi alla ricerca di un motivo, mentre l’aria sfugge ad ogni passo ed ogni passo sfugge a te stesso. Dove ti trovi? Non è questa la domanda che assilla i tuoi sensi, annebbiati dal costante riecheggio del passato e spaesati dall’intrigante richiamo del futuro, il cui drammatico risultato è la naturale estinzione del presente: si apre il sipario alla tragedia contemporanea dell’uomo che guarda, ma non si guarda, comprende, ma non si comprende. Lo sguardo si posa ovunque fuorché su se stesso o al contrario guarda con tale ardore a se stesso tanto da dimenticare il mondo in cui esiste, pagando il biglietto per una giostra sulla quale teme di salire. Il cuore si prepara all’azione in una danza che annichilisce l’istinto alla reazione: guardarsi è doloroso quando non riesci a riconoscerti, guardare è doloroso quando di fronte alle innumerevoli strade che ti si pongono, non riesci a riconoscere la tua. Quale strada è quella giusta? Il fascino della vita si rinvigorisce della labirintica essenza della scelta, alimentata dal senso dell’infinito che a sua volta di essa si nutre, custodendo un segreto che riposa al sicuro nella tasca dei jeans preferiti di una bambina che rincorre il sole. Ognuno, nel proprio infinito, indossa quei jeans. La bambina sta crescendo, è cresciuta e le verità della sua dolce memoria risplendono di inevitabile oblio, foschia di attimi che si rincorrono nell’arco dell’indeterminato, dove niente è certo, tutto si vorrebbe lo fosse. Catturare il coraggio e lasciare che l’astratto concetto del giusto si liberi e liberi noi stessi: ogni strada è la strada giusta, ogni cosa avrebbe potuto essere un’altra e avrebbe avuto lo stesso, profondo significato. Eppure il tempo ossessiona la mente: opprimente attesa, in un tornado di aspettative, delusioni, speranze, illusioni e disillusioni mentre il cuore continua a piangere, senza un motivo, senza sosta. Le lacrime spezzano il conforto del mero silenzio interiore e irrompono in un grido di aiuto a cui non si è grado di prestare soccorso. Privi di una dimensione, la libertà si risolve nella solitudine: se si perde se stessi, si perde tutto.

La tragedia del cuore chiude il sipario e l’attore e lo spettatore si guardano e si pongono a vicenda la medesima domanda: come guardarsi, come capirsi, come ritrovarsi?  Unica risposta: l’eco del silenzio.