“LA DONNA ALLA FINESTRA”: L’ENNESIMO THRILLER-INGANNO

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di Mariantonietta Losanno 

Un insieme di riferimenti, tutti (fin troppo) evidenti: “La donna alla finestra” è un prodotto profondamente postmoderno, ma che ha un sapore eccessivamente vintage. Oltre alla più immediata – e sicuramente meno appropriata –  citazione a Hitchcock e a “La finestra sul cortile”, il nuovo film di Joe Wright (disponibile su Netflix dal 14 maggio), attinge anche da Scorsese (“Shutter Island”), Polański (“Rosemary’s Baby”, “Quello  che non so di lei”), Tornatore (“La migliore offerta”), Fincher (“Panic Room”), Aronofsky (“Madre!”); e, ancora, rimanda a “Secret window”, “La ragazza del treno”, “Un piccolo favore”. E non si tratta solo di “copiare” e utilizzare lo stratagemma della finestra; ad esempio, ne “La migliore offerta”, c’è il tema dell’agorafobia (sviluppato in modo nettamente differente) e in “Shutter Island” c’è la rimozione del lutto che Wright tenta di riprodurre. 

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Dunque, oltre a tutti questi rimandi, che cosa c’è? L’ennesimo thriller-inganno architettato ad hoc, con tutte le regole del caso: una donna che vive sola e che non riesce ad uscire di casa (a meno che non lo faccia con un ombrello), ricordi confusi, personaggi che non si riescono ad identificare, rumori sospetti, sensazioni di claustrofobia, primi piani improvvisi e che tentano di suscitare (forzatamente) la paura o la confusione. È tutto un “gioco di sguardi”: è l’occhio ad essere protagonista. L’occhio che guarda, scruta, analizza il mondo che lo circonda (che vorrebbe somigliare all’occhio di Norman Bates che spia Marion in “Psyco”): è l’unico testimone degli eventi, anche se filtra la realtà a proprio piacimento.

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“Psyco”, Alfred Hitchcock
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“Psyco”, Alfred Hitchcock

Anna Fox (Amy Adams) è una psicologa infantile affetta da agorafobia dopo un incidente che le ha sconvolto la vita, ma che solo successivamente riesce  a “mettere a fuoco”. Osserva il mondo dalla sua finestra, spiando le vite dei suoi vicini, invadendo i loro spazi; fino a che, un giorno, assisterà ad un omicidio di una donna la cui identità sembra essere “confusa”. Il problema è che, mentre Hitchcock rifletteva sul voyeurismo dello spettacolo cinematografico, Wright sembra “beffarsi” dello spettatore e degli stessi riferimenti da cui vuole (disperatamente) attingere. E, in questo caso, neanche il cast d’eccezione, in cui oltre ad Amy Adams compaiono Gary Oldman e Julianne Moore, riesce ad elevare l’opera. “La donna alla finestra” tenta una manipolazione “visiva”, ma fallisce dopo pochi minuti. Quello che resta, allora, è solo il fascino di una storia creata per elaborare il lutto e la sofferenza, e per mettere a tacere il senso di colpa. Può ritenersi sicuramente un thriller “plausibile” perché rispetta tutte le regole, ma i suoi limiti emergono troppo presto, impedendo allo spettatore di venire sorpreso e anche “manipolato” (perché le reali manipolazioni cinematografiche, se realizzate a dovere, affascinano il pubblico che si lascia pervadere da ogni sensazione).

%name “LA DONNA ALLA FINESTRA”: L’ENNESIMO THRILLER INGANNOIn fondo, però, quale film non è un film “derivativo”?: quale riesce ad emergere senza doversi rifare ad opere imprescindibili della storia del cinema? Dovrebbe trattarsi di una derivazione da cui si riesce, poi, a distaccarsi: così, ne viene fuori qualcosa di nuovo – ma al tempo stesso vecchio – che può fornire nuovi spunti. L’intento dovrebbe essere quello di suggerire nuove riflessioni, aggiungendo qualcosa in più, ma non per questo rinunciando ad avvalersi di riferimenti. Quello che manca è l’elemento sorpresa (fondamentale in un film basato sulla suspense): non c’è nessun colpo di scena e questo rende la pellicola di Joe Wright un’opera un po’ priva di idee, che si fa quasi body-horror psicologico, respingendo sempre di più lo spettatore. Probabilmente, siamo diventati un pubblico troppo “esigente”, o forse, il problema de “La donna alla finestra” risiede in un intreccio non sufficientemente spiazzante. O, ancora, il problema potrebbe essere che Anna non ha nessuna “miss Lonelyhearts” da osservare e, quindi, il richiamo ad Hitchcock non si presenta come un omaggio ma come un tentativo (mal riuscito) di ricreare un capolavoro.