SE DECIDONO I POPOLI

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–   di Vincenzo D’Anna*   –                                               

“Or ti piaccia gradir la sua venuta: libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”.  In tal modo, Virgilio si rivolge a Catone il giovane, nel primo canto del Purgatorio, presentandolo a Dante Alighieri. L’Uticense era considerato un depositario di virtù dal cantore della Commedia: tra queste, quella di cercare la libertà intesa come fattore morale, discrimine di vita, che orienta le coscienze all’esercizio del dovere. Una libertà che, per essere conquistata o mantenuta, può anche prevedere il rischio di dover rinunciare alla propria vita. Cosa che Catone fece, trafiggendosi il ventre con la spada dopo aver perso la sua battaglia contro Cesare. Poco valore viene rivolto a tali sentimenti allorquando sono ritenuti  acquisiti e permanenti. La guerra di Putin smonta clamorosamente questa disattenzione ed azzera quel semplicistico presupposto che nulla possa più negare all’umanità il godimento della pace, della libertà e dei diritti civili. I deliri di onnipotenza del presidente russo, la sua paranoia di sentirsi accerchiato e sottovalutato, rimette in gioco molte certezze. Ancorché sui social una sparuta percentuale di manichei addebiti all’adesione di molti paesi dell’Est europeo all’Alleanza Atlantica un reale pericolo di accerchiamento per la Russia e la conseguente necessità che questa debba difendersi. Tuttavia l’opinione pubblica mondiale va mobilitandosi contro Putin e nella stessa Mosca qualche migliaio di persone protesta contro la guerra e per questo viene incarcerata. C’è poi da considerare che quello scatenata dal Cremlino è un  conflitto che si combatte anche con la cibernetica, sia in campo militare che civile. D’altronde gli hacker che manipolano i sistemi informatici, valgono quasi quanto i cannoni. Anche l’uso del web, che documenta costantemente gli accadimenti e le atrocità dello scontro, rappresenta una finestra con la quale alimentare la propaganda di parte. Insomma il popolo nel suo complesso può acquisire notizie e formarsi una propria legittima opinione, come se avesse a disposizione una poltrona in prima fila sul teatro dei combattimenti. La gente può così organizzarsi spontaneamente ed a ragion veduta creando un isolamento morale dell’aggressore ed un consenso per l’aggredito. Per quanto questo possa essere considerato marginale, rispetto agli armamenti ed alla forza militare schierata sul campo di battaglia, anche questo inciderà molto sul buon esito dei progetti del despota russo. Si ha l’impressione che la blitzkrieg immaginata dai russi possa in realtà trasformarsi in un conflitto lungo e sanguinoso, con il coinvolgimento di un’intera popolazione. Quella ucraina, s’intende. Sono questi i fattori che alzeranno il prezzo in termini di vite umane anche per gli invasori logorando il consenso interno già provato dalle sanzioni disposte dalla comunità internazionale. Ad alimentare i timori e l’impegno della comunità europea arriva la minaccia esplicita di Mosca rivolta a Svezia e Finlandia di non aderire alla Nato, pena pesanti ripercussioni (militari?). Una minaccia che lascia intendere che l’aggressione possa sfociare in un più vasto conflitto capace di mettere in pericolo altri popoli innescando il tal modo la doverosa reazione degli eserciti occidentali. Ma non sono gli esiti sul teatro di guerra a rappresentare, al momento, un pericolo per leadership di Putin quanto potrebbero essere , invece, alcuni fattori imprevisti. La compattezza e la reazione eroica del popolo ucraino, unitamente alle ricadute, a medio termine, delle pesantissime sanzioni economiche, possono infatti turbare il fronte del consenso interno russo, innescando calcoli di segno contrario alla guerra. Induzione di scelte che non inibiscano, dunque, i commerci e soprattutto non turbino uno stile di vita che ha raggiunto livelli di comodità e di benessere occidentali anche da quelle parti. L’ex agente del Kgb si potrebbe, insomma, trovare costretto a fare i conti con la voglia di pace del suo stesso popolo. In sintesi alla decisione di non condividere la paranoia del suo presidente che l’Occidente rappresenti un pericolo per l’avvenire delle future generazioni che, in una con quelle di oggi, sono ben lontane da quelle massificate ed istruite coercitivamente dal terrore comunista. Alle porte non ci sono i panzer tedeschi che invasero la Russia, né la prospettiva dei gulag sovietici, ma la modernità ed il progresso di cui anche il popolo russo stava godendo in questa fase della propria storia. Seppellire i giovani nei cimiteri di guerra è l’antitesi alle reali aspirazioni di una nazione che si trovi  invischiata in una guerra di aggressione, non di difesa della propria patria. Ecco allora che il fattore dirimente – leggi voglia di pace – potrebbe scatenarsi nella volontà di due popoli che si conoscono e che si sono mischiati tra di loro per mezzo secolo. Quello ucraino che combatte per la propria libertà e quello russo che combatte per continuare a vivere la raggiunta felicità.

*già parlamentare