“TRA DUE MONDI”: LA “FINESTRA” SUL PRECARIATO

0

di Mariantonietta Losanno

Pensare che oggi il mondo non sia “socialmente diviso” sarebbe tanto ingenuo da risultare persino un sintomo di “vigliaccheria”.

Il nuovo film di Emmanuel Carrère racconta una condizione sociale e riflette sull’incontro di “mondi diversi”, sugli effetti di tale collisione e sulla difficoltà che comporta la loro convivenza.

%name “TRA DUE MONDI”: LA “FINESTRA” SUL PRECARIATO“Tra due mondi” descrive – in modo netto – la distinzione tra il mondo della disoccupazione e del precariato e quello “degli altri”; altri che (volutamente) non vengono classificati in una categoria specifica. Affinché la distinzione sia incisiva, infatti, il regista sceglie di non “denunciare” in modo specifico una professione, ma l’idea che sta “dietro” quella professione. Da una parte c’è la scrittrice Marianne, che decide di lavorare su un romanzo che affronta la realtà del precariato francese; dall’altra c’è Christèle, madre single e addetta alle pulizie. Marianne riesce a farsi assumere e a lavorare sui traghetti che collegano la Francia alla Gran Bretagna attraverso il canale della Manica. Riesce così a toccare “con mano” i ritmi massacranti e le umiliazioni che subisce chi è costretto a quella vita. Appena la sua vera identità viene svelata, le sue “colleghe” reagiscono in modo diverso al suo desiderio di indagare una realtà alienante, sporca, disumana.

%name “TRA DUE MONDI”: LA “FINESTRA” SUL PRECARIATOEmmanuel Carrère dipinge in modo brutale una realtà inconfutabile. Retribuzioni minime, nessun sussidio, nessuna difesa sindacale, e – soprattutto – nessuna “pietà”. Nessun rispetto, nessuna considerazione. Quella che il film dipinge, ovviamente, è solo una parte di storie di emarginazione sociale; di incarichi ingrati, “sporchi” e faticosi che non vengono ricompensati adeguatamente ce ne sono molti e il regista non calca la mano per insistere su una categoria più svantaggiata rispetto ad altre. Perché, pensandoci, se si facessero differenze su un lavoro rispetto ad un altro, verrebbe meno il senso della pellicola. “Tra due mondi” è una finestra (come quella che divide Marianne e Christèle mentre compiono un’azione banale come fumare una sigaretta) sul precariato; è una riflessione sul fare squadra e sull’essere solidali. È un’opera che sottolinea quanto si debba lottare con la vergogna per continuare a lavorare. La stessa vergogna raccontata, ad esempio, dai fratelli Dardenne in “Due giorni, una notte”, da Sergej Michajlovič Ėjzenštejn in “Sciopero!”, da Elio Petri ne “La classe operaia va in paradiso”, da Jean-Luc Godard in “Crepa padrone, tutto va bene”, da Martin Ritt in “Norma Rae”, da Ken Loach in “Riff Raff”. Il comune denominatore di tutte queste pellicole è la capacità di trovare la forza di reagire senza umiliarsi, rispettando – dopo aver prima riconosciuto – il proprio valore e la propria persona. Il punto, però, è che rispettare se stessi in un mondo “infetto” come quello in cui viviamo è una lotta estenuante. Viene da chiedersi, allora, perché questo sistema funzioni ancora. La verità è che questo meccanismo fa leva su un bisogno più forte di qualsiasi forma di umiliazione: lavorare. E quando si ha “fame” si lavora persino in una condizione di invisibilità.

%name “TRA DUE MONDI”: LA “FINESTRA” SUL PRECARIATOLa scelta di Marianne di infiltrarsi in questo “mondo” suggerisce, poi, altre riflessioni. Si pensa spesso che chiunque si “infiltri” in realtà “particolari” (come avviene, ad esempio, negli ospedali psichiatrici nell’opera di Nellie Bly “Dieci giorni in manicomio”), lo faccia con il solo ed unico scopo di far luce su realtà poco conosciute o per dare voce a chi non è nella condizione di farsi valere (come nel caso degli internati). Se provassimo, però, ad immedesimarci nella figura di chi si vuole raccontare – come, in questo caso, un addetto alle pulizie – che sensazione proveremmo sapendo che qualcuno ha ricoperto quel ruolo solo per “finzione”? Con lo scopo di denunciare, ma pur sempre per finzione, “offendendo” (in parte, sempre provando ad immedesimarsi) chi, invece, a quella condizione è costretto. Emmanuel Carrère, adattando per lo schermo il romanzo-inchiesta di Florence Aubenas “La scatola rossa”, si discosta dalla narrazione strettamente documentaristica per indagare a fondo le emozioni. Per soffermarsi sulla differenza tra chi ha delle possibilità, chi prova a costruirsele da solo e chi, ancora, pur provando a scovarle da solo non riesce comunque ad uscire da una condizione di precarietà. Non si tratta di privilegi, o meglio, non si tratta “solo” di privilegi; ci sono situazioni e condizioni irreversibili, lavori che non si possono rifiutare, umiliazioni che ci si ritrova a subire pur di sopravvivere. “Tra due mondi” è un’opera “concreta” e mai banale, che riflette sul concetto di morale e su quanto alcune azioni siano lecite o meno.