“TOMBOY”: CÉLINE SCIAMMA “DIFENDE” LE SUE TEMATICHE E NON CEDE ALLA SEMPLIFICAZIONE

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di Mariantonietta Losanno 

Il cinema di Céline Sciamma ricorda – per la continua sperimentazione dei linguaggi e per i temi, le immagini, i gesti – quello di Chantal Akerman. Entrambe le registe si focalizzano sul ruolo centrale della “casa”, segnata dalla presenza dei “corpi”; insistono, cioè, sull’iperrealismo puro. Lo spettatore assiste alla ritualità dei gesti, soffermandosi su ogni singolo istante di tempo reale. 

“Tomboy” è prima di tutto una storia di formazione e di scoperta di sé; un’opera che si concentra su (pre)adolescenti alla ricerca della propria identità e sessualità, che, dopo essersi “scoperti” devono trovare anche il coraggio di accettarsi. 

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Chiunque da bambino si è finto qualcun altro. Ha inventato un nome, ha imbrogliato sull’età, si è (auto)definito intelligente, simpatico, popolare. Ci si dà – spesso – delle “arie”, e non solo da bambini; ci si diverte a far finta di essere qualcun altro, anche solo per gioco, o perché – dietro quella fantasia – c’è la volontà di diventare realmente chi si racconta di essere. Laure ha dieci anni e si è appena trasferita, insieme alla sorellina Jeanne e ai suoi genitori, in un nuovo quartiere di Parigi. Quando conosce un gruppo di coetanei decide di presentarsi come Mikaël, per realizzare un “sogno” segreto. Un sogno che non sapeva fosse così reale, o che, ha scoperto di desiderare proprio mentre ha iniziato a conoscersi. È dall’incontro con Lisa, poi, che avviene la reale maturazione. Con la giusta dose di innocenza e la volontà di esplorarsi, Laure costruisce la sua nuova identità. La realtà, però, è che – al di là del nome – Mikaël non ha bisogno di cambiare altro. Non deve, cioè, inventare un’altra personalità: avviene tutto in modo naturale, senza che cambi nulla. Céline Sciamma ha la sensibilità giusta per analizzare temi così complessi senza esasperarli o semplificarli. Accompagna lo spettatore con dolcezza ed acume in un universo che da tanti è temuto: non segue regole, non cede agli stereotipi, non compiace il suo pubblico. 

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La regista non pone margini e – soprattutto – non drammatizza la questione presentandola come un “problema”. Quello che più di tutto contraddistingue Céline Sciamma è la capacità di “difendere” i suoi temi, i suoi personaggi, le sue idee. Protegge la tematica che affronta superando la categorizzazione incentrandosi, invece, sull’itinerario personale. Si pone “al fianco” dei suoi personaggi, vivendo le loro dinamiche, e chiedendo allo spettatore una partecipazione attenta ma silenziosa, fornendogli continui spazi di riflessione. 

Céline Sciamma, che quest’anno presiederà la Giuria delle Giornate degli Autori alla Mostra del cinema di Venezia, non cerca una soluzione finale: affronta la questione delle identità filtrandola con gli occhi dei bambini. Insiste sulle emozioni, non drammatizza mai eccessivamente le situazioni, lascia spazio all’espressività dei volti. Tutta la sua filmografia è contraddistinta da una assoluta spontaneità e da una naturalezza espressiva: Céline Sciamma evita i cliché, affrontando i suoi temi con incisività ma senza “aggredire”. Sviscera a fondo le sue dinamiche, ma non ha bisogno né di proporre facili conclusioni, né di “convincere” il suo pubblico con parole superflue.