“SCOMPARTIMENTO N. 6”: ELEMOSINARE SENTIMENTI PER POI (RI)TROVARLI DENTRO DI SÉ

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di Mariantonietta Losanno 

La finlandese Laura parte da sola verso Murmansk a vedere i petroglifi (incisioni rupestri); lascia la sua compagna Irina, che, però, la incoraggia a partire e ad esplorare. Non è ben chiaro se si tratti di un viaggio o di una fuga. Quello di Irina, in realtà, più che un incoraggiamento è una “spinta”; appena Laura prende il treno, infatti, e prova a contattarla per raccontarle la sua esperienza, lei si mostra distante, quasi entusiasta della sua lontananza. Attraverso il rapporto con Ljoha, poi, un ragazzo che condivide il suo scompartimento sul treno, (ri)scopre se stessa. 

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A Laura la solitudine fa paura, al punto da rifiutarla. La “indossa”, ma come se fosse una vergogna. Non ne parla neppure, fino a quando trova il coraggio di chiedere ad un altro passeggero (che parla la sua lingua) se si è mai sentito troppo solo. Vorrebbe chiederlo anche agli altri, probabilmente a tutti; la condivisione di quell’“offesa” la farebbe sentire meno sola, appunto. Condividere la solitudine, però, non è per forza la “soluzione”. Stare soli, o meglio, apprezzare la possibilità di stare soli, non dovrebbe avere come prerogativa la condivisione. Se è vero che due persone che apprezzano la solitudine possono “riconoscersi” tra la folla, è altrettanto vero che la condivisione non è la condizione necessaria. 

“Scompartimento n.6” – Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes – si concentra sulla capacità di comunicazione e sulle “lingue”; cioè, sui diversi idiomi e, più in generale, sulle difficoltà di capirsi. Un abbraccio, poi, può aiutare a “sentirsi”, più di una parola. 

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Quegli affetti e quei sentimenti elemosinati, allora, si (ri)trovano dentro di sé. È l’incontro con Ljoha (che ricorda quello tra Julie Delpy e Ethan Hawke in “Prima dell’alba”), a permettere a Laura di apprezzare le sue fragilità e le sue paure. Forse, la pellicola di Juho Kuosmanen ha tutti i cliché del road movie, ma si distingue per come affronta il senso di “appartenenza”, la nostalgia, il rifiuto. E non perché rincorre un’idea romantica. Il vero punto di arrivo di Laura è l’accettazione della sua emotività. Dopo essersi ostinata a cercare un “segnale” dal passato (da tutto quello, cioè, che ha lasciato alle sue spalle prima di partire) senza ottenere una risposta, accetta i propri limiti, imparando a conoscersi guardandosi dall’esterno.