“US”: UN “DOPPIO” JORDAN PEELE (“US”/“USA”)

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di Mariantonietta Losanno 

In concomitanza con l’uscita nelle sale del nuovo horror/sci-fi di Jordan Peele, facciamo un passo indietro, tornando a “Noi”

Torniamo a noi, appunto. Alle nostre responsabilità, a quello che ogni giorno “costruiamo”, a quello che causiamo. In “Us” c’è una riflessione costante (nascosta da una componente horror e da una più – potremmo dire – “sarcastica”) sul ruolo di ognuno di noi in quanto cittadini. Procediamo per gradi: ci troviamo nel 1986 e Adelaide si trova a Santa Cruz in un Luna Park insieme ai genitori. All’improvviso entra in una casa degli specchi e incontra il suo “doppio”. Passano trent’anni: Adelaide, suo marito e i loro due figli stanno partendo per una vacanza, e tornano proprio a Santa Cruz. Nel 1986 si è svolta l’iniziativa di beneficenza “Hand Across America”: oltre sei milioni di americani si sono tenuti per mano per quindici minuti, per una raccolta fondi a favore delle classi più svantaggiate degli Stati Uniti. L’intreccio di mani passò anche dalla Casa Bianca coinvolgendo il presidente Reagan e sua moglie Nancy. Furono raccolti venti milioni di dollari, ma per il “New York Times” ne furono effettivamente distribuiti quindici. In quell’anno, Adelaide incontra il suo “altro”: un sé diverso, un alter ego opposto, forse persino “cattivo”.

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Jordan Peele, che considerava “Hand Cross America” anche qualcosa di “spaventoso”, ne ha fatto l’elemento chiave di “Noi”, un’opera che si può definire un “horror politico”. D’altronde, Peel lo aveva già dimostrato con “Scappa – Get Out” (Premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale), di voler utilizzare il veicolo horror e/o fantascientifico per parlare di tutto e di più. Il suo film attualmente nelle sale, “Nope”, racconta il tanto decantato “american dream” sotto un’altra ottica, sfruttando gli extraterrestri. In “Noi” i veri protagonisti sono i “cloni” (raffigurati come una sorta di zombie); sono gli unici a conservare ancora la preoccupazione per la “giustizia”, mentre invece i borghesi vivono nel loro egoismo. Peele “si diverte divertendoci”, inserendo nella sua metafora elementi “ironici” – più che altro surreali per il contesto in cui ci troviamo – che strappano al pubblico persino una risata. Ed è proprio in quel modo di far ridere che troviamo il “senso”: quanti, per ipocrisia o perché è più facile ignorare, “glissano” su temi importanti spostando l’attenzione su un qualcosa di divertente? In quella ricerca di “divertimento”, così come nel voler mostrare i cloni come zombie nonostante stiano rappresentando qualcosa di profondamente serio, c’è il significato attribuito all’horror politico. 

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Il cinema di Peele sembra – in apparenza – ambiguo, persino criptico; invece, è sempre un’analisi lucida ed oggettiva di quello che, da un lato, facciamo finta di non vedere, e dall’altro accettiamo consapevolmente. “Noi” riesce ad “allargare” la visione mostrandoci che anche l’“altro” avrebbe potuto vivere godendo delle nostre stesse opportunità. Quell’incontro con i cloni (che somiglia all’intrusione rappresentata da Haneke in “Funny Games”) è un’occasione per riflettere sui “mondi”: quello superiore e quello inferiore.