“THE HUMANS”: CONFESSIONI E PAURE VS INCUBI E ALLUCINAZIONI

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di Mariantonietta Losanno 

Qual è il luogo migliore per conoscere le abitudini – e le dinamiche – di una famiglia se non all’interno della propria casa? I Blake (il padre, la madre, la nonna affetta da demenza senile e le due figlie) si ritrovano per il giorno del Ringraziamento nel nuovo appartamento della figlia minore – Brigid – e del suo compagno; è un appartamento di Manhattan (secondo il padre troppo vicino ai luoghi dell’attentato dell’11 settembre) abbastanza malmesso e con tanti piccoli lavori da compiere. Inizialmente vediamo una (semplice) famiglia (strana): le piccole discussioni, le preoccupazioni del padre Erik che scrupolosamente supervisiona ogni angolo della casa per assicurarsi che la figlia viva in un ambiente consono, i momenti di convivialità. Una normale atmosfera familiare con tutti i suoi “rumori”; quei suoni si trasformano, poi, in altro: tutti i membri della famiglia – come se rispettassero il proprio “turno” – si concedono il lusso di svelarsi, attraverso delle vere e proprie confessioni. Ognuno di loro ha dei “traumi” da superare; c’è chi deve superare la fine di una relazione da cui si fa fatica a scindere i sentimenti dalle paure, chi deve accettare il tradimento con tutte le sue conseguenze (anche quelle non “esplicite”), chi deve affrontare una malattia e fare i conti con l’inesorabilità del tempo. Chi, ancora, è perseguitato da incubi, chi è preoccupato per la propria salute mentale, chi cerca un conforto “insistente” (che riesca a superare le barriere difensive), chi si mostra cinico, chi cerca attenzioni, chi si nasconde anche da se stesso. 

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Con i difetti della casa emergono anche i “difetti” (intesi come stranezze e particolarità) della famiglia; le confessioni sembrano necessarie, come se fossero state represse e necessitassero di essere condivise. Il giorno del Ringraziamento è l’occasione per riunirsi – mettendo da parte, come si fa in tutte le famiglie, rancori e sofferenze – e raccontarsi. O forse anche per “conoscersi”. Stephen Karam segue il cliché del rituale familiare che diventa “teatro” (la pellicola è tratta, infatti, dall’omonimo testo teatrale dello stesso Karam, candidato al Premio Pulitzer per la drammaturgia) di segreti e bugie. Il cliché c’è, ma perché è inevitabilmente che ci sia, ma c’è anche altro; ci sono i suoni da percepire (che nascondono parole, sentimenti, inquietudini) e le frustrazioni da interpretare. “The Humans” parla di quella umanità difficile da definire e che non può esaurirsi nell’idea di “buono”, “giusto”, “umano”, appunto. La pellicola – quasi un “horror del subconscio” – racconta come sia importante “esplodere” quando la mente ha raggiunto il livello massimo di sopportazione. Esplodere significa aprirsi, raccontare le paure (anche quelle più recondite che si manifestano nei sogni), confessare – anche – di cosa si è grati. Quante volte ci concediamo il lusso di esprimere quello per cui si può essere grati? È difficile “gestire” tutta questa sincerità, che si incastra poi con un’altra dimensione, non del tutto in antitesi con quella reale. 

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Quando tra le confidenze ci si racconta anche degli incubi, infatti, emergono una serie di aspetti “allucinatori”, che possono essere definiti in vari modi. Possono essere deliri di una mente “stanca” (nella famiglia Blake viene “suggerita” la stanchezza piuttosto che la depressione), sfoghi, nevrosi. I personaggi di Karam sono alienati, e il regista dosa la componente “horror” equilibrandola con quella drammatica. Si chiede, però, allo spettatore di porre attenzione ai “suoni”, quelli più forti e quelli impercettibili: al tonfo di un oggetto che cade, ai pavimenti che cigolano, al passaggio della sedia a rotelle. Il “lavoro”, anzi, si deve svolgere su due fronti: sonoro e visivo. In un film ambientato solo all’interno di una casa (l’unico momento in cui si può “prendere aria” è solo nella prima scena quando “ci muoviamo” tra i palazzi), i tubi, le mura, le finestre, i soffitti, diventano elementi essenziali alla comprensione. 

“Le storie di terrore per i mostri sono sugli umani”, dice il compagno di Brigid. Si parla di “mostri” e di “essere umani”, ma, nonostante il film inclini verso l’horror, non c’è nulla di soprannaturale. I “mostri” sono “altro” da noi, ma non per forza “altro” rispetto al genere umano. Karam “illumina” i piccoli gesti e aiuta a cercarli nel buio e nella paura, per rendersi conto che, spesso, la maggior parte delle cose per cui ci preoccupiamo, non sono poi così terribili.