“RAPINIAMO IL DUCE”: NÈ GUERRA NÈ STORIA, SOLO INTRATTENIMENTO

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di Mariantonietta Losanno 

Renato De Maria (“Amatemi”, “La vita oscena”, “Lo spietato”) chiarisce da subito gli intenti: vuole “giocare” con la storia, non raccontarla o soffermarsi su dettagli o protagonisti. Eppure il titolo faceva pensare che si volesse parlare del Duce – o quantomeno mostrarlo – o ricostruire episodi specifici, ma, in realtà, si tratta di una (ennesima) storia studiata per “accontentare” il pubblico, in cui si mescolano i soliti ingredienti: storie d’amore ovviamente contrastate o proibite, e pianificazione del “colpo della vita” da parte di un gruppo (volutamente improbabile) di ladri. È immediato il rimando a opere come “Ocean’s Eleven”, “La casa di carta” o all’ultimo capitolo della saga “Smetto quando voglio” (e lo è molto meno quello a “I soliti ignoti”), in cui la vicenda ruota intorno all’organizzazione di un piano – che, in questo caso, si sviluppa sotto forma di fumetto – praticamente impossibile, portato a termine con metodi decisamente poco credibili. I personaggi di Renato De Maria agiscono indisturbati (riescono ad arrivare all’ambita ricchezza semplicemente rinchiudendo tutti i fascisti in un bunker (?), imbrogliano in modo goffo e sicuramente poco plausibile, subiscono avvertimenti da temibili gerarchi fascisti e ne escono (magicamente) illesi. E dov’è la Resistenza, atto fondativo del nostro Paese? 

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Presentato nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma, “Rapiniamo il Duce” è stato distribuito dal 26 ottobre su Netflix, che è esattamente il “posto” dove sta meglio. Perché è un prodotto di intrattenimento, appunto. Come lo è anche “Freaks Out”, in cui, però, Gabriele Mainetti si era posto come obiettivo un progetto ambizioso di cinema “completo”, creativo e ricreativo, concentrandosi sulla caratterizzazione dei personaggi (i “freaks”, dotati di capacità eccezionali) e accostando il realismo alla fantasia, (quasi) come aveva fatto Guillermo del Toro ne “La forma dell’acqua”. Quello di Renato De Maria, invece, è un prodotto che aderisce con convinzione ai dettami di Netflix: nei toni, nelle atmosfere, nel suo volersi mantenere in superficie, nel suo mirare a compiacere il pubblico. 

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“Rapiniamo il Duce” si accontenta di essere quello che è: una commedia non molto coraggiosa che punta ad una grossa platea. “Quella che vedete lì fuori non è guerra, è storia”, ripete il “leader” (Pietro Castellitto) alla sua banda. Il risultato finale, però, non è nessuno dei due: è solo uno spettacolo che cerca di divertire, senza neppure calcare troppo la mano sulla comicità. Ed è tutto quello che piace a Netflix.