“LA STRANEZZA”: LA “RIVOLUZIONE” DI ANDÒ CHE ISPIRA – E LIBERA – LE ORIGINALITÀ 

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di Mariantonietta Losanno

“Una rivoluzione come quella apportata nel teatro da Pirandello? Mi auguro possa avvenire. Certo oggi c’è molto più conformismo e omologazione. E quindi anche l’originalità di un pubblico che si ribella e che sa riconoscere il valore di una cosa diventa molto più difficile. È come se oggi tutto avvenisse prima, c’è questo continuo contatto virtuale in rete che rende anche le posizioni più omologate. Apparentemente dovrebbe essere uno strumento di libertà, invece si rivela uno strumento di massificazione”, ha raccontato Roberto Andò. La sua opera (record di incassi, che fa sperare in un ritorno nelle sale) è una vera e propria rivoluzione; un “colpo di genio” capace di mettere in scena la profondità psicologica pirandelliana – quel tormento interiore che definiva “stranezza” – all’interno di un contesto in cui vita e teatro si “incastrano” costantemente. 

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Riflettendo per un momento sulle parole di Andò (regista de “Il bambino nascosto”, opera che dipinge Napoli da uno “spioncino” e dall’incontro di due solitudini), viene immediato soffermarsi sul concetto (tanto caro) di libertà; quella che Erich Fromm in “Fuga dalla libertà” ha descritto come un problema psicologico, che porta a rifugiarsi – proprio a causa delle responsabilità che comporta – nella sottomissione, nel conformismo. In un luogo “sicuro” in cui l’individualità viene distrutta. Quel “continuo contatto virtuale” ci sta portando, allora, nella stessa direzione; ma Andò, senza forzare la mano, compie un atto rivoluzionario riuscendo a riportare non solo il pubblico in sala, ma (ed è questo l’intento più complesso) a tentare di sviluppare uno sguardo critico da parte degli spettatori. Come dimostra nella sua opera, infatti, non è essenziale che si conquistino necessariamente consensi; lo è molto di più dimostrare di “essere presenti”, di avere un’opinione, uno stimolo, un impulso a esporsi. 

“La stranezza” – presentato nella sezione Grand Public alla Festa del cinema di Roma – è ambientato nel 1920, in Sicilia, in un momento di crisi creativa per Pirandello, complice la morte della sua balia e la patologia psichiatrica della moglie. Conosce due bizzarri becchini – Nofrio e Bastiano – che sono anche attori “dilettanti professionisti”, intenti a mettere in scena una tragicommedia. Osservando di nascosto le loro prove, trae ispirazione per uno dei suoi lavori più importanti e dagli esiti più clamorosi, “Sei personaggi in cerca di autore”; al debutto invita Nofrio e Bastiano, mentre lui assiste – da silenzioso testimone – dietro le quinte. 

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Andò omaggia il teatro e il cinema, all’interno di uno scenario in cui si alternano vita e morte; dà forma alle idee nella sua mente, costruendo un “labirinto” di possibilità, rendendo plausibile anche quello che non lo è. Toni Servillo da “animale da palcoscenico, sopra le righe anche nel privato” in “Qui rido io”, esempio del cinema “totale” di Martone, diventa un’ombra nella pellicola di Andò, dedicata, tra l’altro, a Leonardo Sciascia. “La stranezza” è un film che accosta Servillo, Carpentieri e Lo Cascio a Ficarra e Picone dimostrando come riescano a completarsi a vicenda; è un’opera che si rivolge allo spettatore con umiltà e dignità, che mira ad assottigliare il più possibile il rapporto tra pubblico, trama e attori. Un cinema che libera e che ispira, in cui “solo alla fine si capirà se si tratta di una commedia o di un dramma”; che dimostra una “semplicità complessa” – “strana” – che induce il pubblico a (ri)avvicinarsi alla sala, a lasciarsi sorprendere, a reagire.