“THE HANGING SUN – SOLE DI MEZZANOTTE”: UN NUOVO “ASSALTO” A JO NESBØ PRIVO DI “LUCE”

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di Mariantonietta Losanno 

È l’operazione in sé a non riuscire; non sono le ambientazioni, la trama, l’impianto noir o le interpretazioni degli (anti)eroi descritti da Nesbø. È il risultato finale, che si presenta poco lineare, in certi casi approssimativo e, soprattutto (ed è questo il punto su cui soffermarsi maggiormente, considerando la forza della scrittura dell’autore norvegese) privo di mordente. Così come per “L’uomo di neve” e “Headhunters”, “The Hanging Sun” sembra porsi come riferimento gli adattamenti cinematografici di “Millennium” di Stieg Larsson, ma si appiattisce nel corso della narrazione. Non sempre, però, dai romanzi vengono realizzate trasposizioni cinematografiche “impeccabili”; basti pensare a “Non lasciarmi” di Kazuo Ishiguro, o al best seller di Joel Dicker, “La verità sul caso Harry Quebert”, o a uno dei tanti esperimenti basati sul vasto materiale di Stephen King. 

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Film di chiusura Fuori Concorso della 79ª Mostra del Cinema di Venezia, “The Hanging Sun” racconta la storia di John (Alessandro Borghi) che ha deciso di non uccidere più, contro il volere di suo padre (adottivo) e suo fratello Michael. Si rifugia in un paesino al nord della Norvegia, in una comunità fortemente religiosa, in cui incontra la figlia del pastore, Lea, e suo figlio Caleb. Anche loro tentano di fuggire dal Male che hanno in casa, e pensano di essere in salvo dopo la morte del marito Aaron. “Dobbiamo avere paura: la paura è una virtù, allontana dai pericoli, ci protegge dal male che portiamo dentro noi stessi”, dice il pastore durante la celebrazione della messa. Più che paura, quella che provano Lea e John è consapevolezza del Male e delle sue conseguenze; entrambi sono coscienti del fatto che, per ricominciare a “vivere” devono slegarsi da tutto quello che ha fatto sì che avessero paura. Imbattendosi in Caleb, John rivede se stesso e i suoi traumi; al tempo stesso, Lea, conoscendo John, trova la forza per affrontare suo marito. “Non ho sperimentato direttamente questo tipo di violenza però ho avuto un padre che non ha partecipato alla mia vita: era violento psicologicamente, era violento con alcune sue frasi. Sono figlio di una madre single e forse questa esperienza, questa sensibilità mi hanno portato a scegliere questa storia. C’è però anche altro. Per esempio, una critica alle aspettative che i genitori hanno verso i propri figli: i due fratelli del film sono due persone devastate dalla violenza e dalle aspettative paterne. E la cosa paradossale è che i figli spesso in questi contesti non sanno scindere cosa sia bene e cosa sia male”, ha raccontato Francesco Carrozzini, fotografo affermato di moda (figlio d’arte, la cui madre, Franca Sozzani, è stata direttrice di Vogue Italia) e regista felice di “aver trovato il suo posto nel mondo”

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Carrozzini descrive una società fortemente ipocrita, che vieta l’uso di fumo e alcol, ma chiude un occhio sulla violenza domestica, anzi, sembra persino (in qualche modo) incoraggiarla. John e Lea si riconoscono e trovano l’uno nell’altra il desiderio di redimersi, di sentirsi meritevoli di scappare e liberarsi dei propri demoni. Come abbiamo detto, non sono i personaggi a non funzionare; “The Hanging Sun” mantiene una sensazione di immobilità, eccedendo nell’intento di voler rispettare – quasi con timore – il romanzo di Jo Nesbø e, per questo, non muovendo neppure un passo autonomamente. Carrozzini e il suo sceneggiatore Stefano Bises (che ha scritto “Esterno notte” di Marco Bellocchio) scelgono la moderazione e il controllo; probabilmente, se avessero “azzardato” sarebbero stati tacciati di essere stati irrispettosi nei confronti del materiale di provenienza. Qualcosa, però, effettivamente manca: non un “colpo di testa”, né tantomeno uno stravolgimento della storia, ma un elemento che potesse dare – e dire – di più sul regista e renderlo più personale, come lui stesso aveva espresso parlando del suo intento di voler intrecciare vita privata e cinema, come se fosse “necessario”.