FARSI DA PARTE

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–   di Vincenzo D’Anna*   –                                 

“Sì, perché è facile attaccarsi a ruoli e posizioni, al bisogno di essere stimati, riconosciuti e premiati. Questo, pur essendo naturale, non è una cosa buona, perché il servizio comporta la gratuità, il prendersi cura degli altri senza vantaggi per sé, senza secondi fini, senza aspettare un contraccambio”. Con queste parole, pronunciate durante l’Angelus domenicale, Papa Francesco si è rivolto ai fedeli. Certo commentava il Vangelo nella parte in cui Giovanni Battista lascia a Cristo il compito di battezzare con lo Spirito Santo i credenti e non con la propria opera svolta sulle rive del Giordano. Perché mai l’elogio della rinuncia, il richiamo ai Cristiani di esercitarla allorquando questi occupano cariche o posti di responsabilità ancora in tarda età? Perché annunciare che, laddove le forze non lo soccorressero in futuro, anch’egli potrebbe scegliere di percorrere la strada che fu scelta da Papa Ratzinger di rinunciare al soglio di Pietro? Il Pontefice è certo infallibile in materia di fede, ma quando non parla di questa, il suo dire non può essere né superficiale né infondato. Non amo i retroscenisti, coloro i quali si occupano di quel che può nascondersi dietro le parole oppure la semplice evidenza dei fatti che vengono mostrati. Tuttavia se il Capo della Chiesa Cattolica, sia pure poco ortodosso durante il suo pontificato (rispetto alla dottrina ed alla tradizione), esprime in pubblico un sentimento personale lo fa per lasciare intravedere una precisa intenzione: la possibilità, cioè, che possa compiere un passo orientato dalle espressioni che proferisce. È lecito allora chiedersi se Francesco, in avanti con l’età e gravato da un’impossibilità a muoversi, possa in futuro compiere il gesto che fu di Benedetto XVI così da ripetere la circostanza storica dei due Papi viventi, uno emerito ed uno nella pienezza delle proprie funzioni. Insomma, potremmo avviarci ed abituarci all’avvicendamento di un Pontefice con un altro come avviene per le cariche laiche. La Chiesa però non ha al proprio vertice una persona qualsiasi, un eletto oppure un designato dal popolo o da un organismo democratico di natura politica oppure per norma statutaria. La Chiesa celebra ed insegna la Santità del Papa che è scelto per ispirazione dello Spirito Santo Paraclito (onnisciente) attraverso i cardinali durante il conclave. Se il Vescovo di Roma diventa un qualsiasi reggente di una carica di vertice, il dogma stesso verrebbe confutato e la figura del Papa perderebbe ogni alone di sacralità e superiorità rispetto al popolo dei credenti. Per dirla fuor di metafora: il Pontefice non è un “amministratore” della Chiesa, un parroco virtuoso, un missionario coraggioso, un prete inappuntabile. Egli è molto più di tutto questo. E’ il Vicario di Cristo sulla Terra, l’erede degli Apostoli, il baluardo della fede fino alla fine naturale dei suoi giorni terreni. Chi minaccia questa essenza della figura pontificia cancella la ragione stessa per cui i credenti gli devono obbedienza e ne seguono la pastorale e la dottrina. In questa dimensione ultronea a quella dei semplici detentori del potere e del comando nel mondo laico, è agganciata la santità del Papa e la credibilità del suo mandato. Abbiamo più volte rilevato che il Papa Argentino si è spesso identificato più col gesuita missionario che con la maestà che è propria del capo del Cattolicesimo. Una dimensione che Bergoglio ha manifestato nella visione pauperistica del proprio mandato, ha dedicato molto tempo ai poveri fino all’esclusività delle sue azioni, dimenticando che la salvezza riguarda tutti i buoni Cristiani non solamente gli indigenti. Ha finanche distorto la dottrina sociale della chiesa che non è un surrogato del socialismo ma l’antitesi sociale al medesimo, la via di mezzo tra la società della eguaglianza forzosa e quella egoistica del capitalismo speculativo. Ha spesso sottovalutato che la solidarietà per un cristiano si chiama “carità” e non risponde ai dettami delle teorie socio economiche utilizzate in politica. Bergoglio avrebbe pur dovuto sapere che la simpatia e l’umiltà sono doti del cristiano ma che un Papa non può trasformarsi nel curato di campagna di cui scriveva Georges Bernanos. Se Francesco pensa, come ultimo atto del suo pontificato, alla rinuncia, sbaglia perché minimizza e secolarizza la figura del Pontefice. Agostino d’Ippona, dottore della Chiesa, ripeteva che “non si comanda per cupidigia di potere ma per spirito di servizio. Per poter compiere il dovere di far del bene alla gente”. Allora il Papa rivolga pure l’invito alla “rinuncia” ai detentori del potere laico, anche a quella classe dirigente che in Italia ambisce a diventate eterna nomenclatura.

*già parlamentare