DAVID DI DONATELLO, “MARCEL!”: ATTENTI AL CANE, NON MORDE, MA OCCUPA TUTTA LA SCENA

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di Mariantonietta Losanno 

“Ai miei genitori con amore”: l’esordio alla regia di Jasmine Trinca è un’opera autobiografica, che scaturisce da un’esigenza – tangibile – di raccontare, liberandosi da alcuni pesi.  Il suo Marcel! si divide tra crudeltà e redenzione; al centro della narrazione ci sono una madre disattenta e una figlia che cerca di proteggerla, nonostante venga surclassata costantemente dal cane (Marcel, appunto), l’unico di cui ci è concesso sapere il nome. Non è, però, propriamente una storia di vendetta quella che ci viene proposta; non ricorda, cioè, i demoni descritti da Irène Némirovsky nel suo romanzo Il vino della solitudine, ma vi si riconosce la stessa necessità di analizzare una sofferenza. 

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Si guarisce da un’infanzia infelice? Forse è questo quello che si chiede Jasmine Trinca, caratterizzando ogni personaggio cedendo – in parte – ad esasperazioni e atteggiamenti deliranti. La Madre (Alba Rohrwacher) è un’artista di strada che mette in scena il rapporto (simbiotico) con Marcel, la Figlia osserva, sentendosi ignorata, provando ad attirare l’attenzione suonando il sax. Ci sono, poi, i Nonni (Giovanna Ralli e Umberto Orsini), gli unici che sembrano avere familiarità con la bambina e che riescono a dimostrare sensibilità. La narrazione divisa in diversi atti aiuta a scandire i momenti, e le funzioni; il primo capitolo, infatti, definisce proprio i ruoli: ad ognuno il suo. A Marcel, però, quello più importante. Del resto, è a lui che la Madre dedica le sue attenzioni e a cui riserva il suo affetto. Poco importa che la Figlia trascorra notti insonni o trovi il frigo vuoto. Marcel, invece, viene chiamato a gran voce (da qui il punto esclamativo), con una forte preoccupazione ogni qual volta si allontana. Fino a quando, un giorno, scompare davvero. Anche la sua assenza, però, diventa più forte della presenza della Figlia: il dolore della perdita surclassa – ancora – la solitudine di una bambina che tenta di compiacere sua madre per ricevere affetto. È solo quando suona il sax, infatti, che viene considerata: riceve complimenti e viene finalmente guardata. “All’arte si deve la vita”, dice la Rohrwacher. Ed è questo l’unico insegnamento che la Figlia ascolta e che tenta di mettere in pratica per poter ricevere in cambio affetto. Ma, come viene ripetuto, “niente è invisibile agli occhi come quello che si vede”

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La soluzione non è far sparire Marcel. Anzi, la sua assenza fa sì che la Madre spinga la Figlia ad assomigliargli, chiedendole di abbaiare, di essere come lui. Jasmine Trinca non scende a compromessi nella sua opera prima, dimostrando (dopo vent’anni dall’inizio della sua carriera sancita da La stanza del figlio di Nanni Moretti) di governare gli spazi e le idee, di essere libera da logiche di mercato e lontana dalle mode. Si rifà ai suoi riferimenti, impreziosendo la sua opera prima con dei camei (quelli di Valeria Golino e Paola Cortellesi), citazioni a Fellini, Chaplin e, proprio attraverso Marcel, a Pina Bausch e Marcel Marceau, da cui, appunto, il nome. Le musiche nelle prime scene, poi, ricordano (persino) l’atmosfera di Suspiria. Insomma, Jasmine Trinca il suo l’ha messo: la sua autobiografia, il suo cinema, i suoi modelli. Forse questo suo potrebbe diventare anche un po’ nostro: i presupposti ci sono. 

Marcel! è candidato ai David di Donatello nella categoria Miglior esordio alla regia.