IL PARTITO DELL’ATTESA

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   –   di Vincenzo D’Anna*   –                                                     

“Il peggio che può capitare ad un genio è quello di essere compreso”. Questa ed altre originali riflessioni sono uscite dalla penna di uno dei più grandi, ironici ed originali intellettuali che l’Italia abbia avuto: Ennio Flaiano. Scrittore a tutto tondo, sceneggiatore con Federico Fellini del capolavoro “La dolce vita”, giornalista di stampo liberale ma, soprattutto, uomo controcorrente, Flaiano fece parte di quella striminzita schiera degli “apoti” (coloro che non la bevono) inventata da un altro grande pensatore come Giuseppe Prezzolini che, disdegnando il Fascismo, andò esule negli Stati Uniti dove diresse l’Istituto di Cultura Italiana. Come Indro Montanelli, Mario Pannunzio, Ignazio Silone, Leonardo Sciascia e Pierpaolo Pasolini, Flaiano ebbe il culto della verità nel raccontare la società del Belpaese, senza alcun paludamento, senza servire padroni, senza affidarsi ai dogmi di nessuna chiesa. Partendo da questo presupposto non fu mai organico a nessun partito politico, né si legò al carro della propaganda e dell’ideologia che dalla metà del secolo imperversò in Italia facendo proseliti in particolar modo a sinistra. Insomma: fu uno di quelli rimasti autonomi, bastian contrario, sempre pronto a difendere l’Italia per quel che poteva essere, ancorché non lo fosse stata, nella realtà di tutti giorni. Nella odierna società digitale, quella in cui imperversano i social, le notizie veloci ed irriflessive, ove l’opinione pubblica si forma attraverso il web, con il contributo dei leoni di tastiera, supponenti ed ignoranti, vanta ancora proseliti il culto della verità? Per dirla ancora meglio: ad un mondo autoreferenziale e liquido, interessano ancora la riflessione acculturata e la visione di lungo termine di dove andrà a finire l’umanità decorticata dai saperi e dall’onestà intellettuale, del saper utilizzare coscienziosamente gli strumenti di informazione, di sapersi assumere la responsabilità dell’esercizio del potere decisionale? Questioni che si poneva anche Flaiano mezzo secolo fa. “Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L’età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo Paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità; noi ne abbiamo infinite versioni. Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicarcele; io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri; perché quasi tutti hanno una soluzione da proporci: la loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi. Alla tavola rotonda bisognerà anche invitare uno storico dell’arte per fargli dire quale influenza può avere avuto il Barocco sulla nostra psicologia. In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Viviamo in una rete d’arabeschi”. Così Flaiano descriveva l’Italia dell’ultimo scorcio del secolo scorso. Ebbene di tavole rotonde, dibattiti, confronti tra esperti della materia sociale, nascita di nuovi partiti, leader emergenti invocati come inviati dalla provvidenza, di rivoluzioni liberali oppure socialiste, di qualunquismo di ogni tipo e genere, ne abbiamo visti a iosa; ma la verità, la chiarezza sull’indole degli italiani e le vicende che li riguardano non si sono nemmeno intraviste. Imprevedibili ed inaffidabili, levantini e creduloni, clienti, critici e rivoluzionari, gli abitanti della Penisola sono rimasti un popolo indecifrabile. Così le loro vicende sociali e politiche, immortalate sempre in un aforisma dello stesso Flaiano: “in Italia le situazioni sono sempre gravi ma mai serie”. Se questo è il sostrato sociale e l’ontologica natura di noi italiani, niente potrà mai dirsi certo e sempre seguiranno all’evento di turno polemiche acrimoniose, dietrologie, processi storici e giuridici che durano un’eternità fino a diventare inutili per anacronismo. La politica si nutre e si sostanzia nella caccia al consenso elettorale e con questo caleidoscopio stato di cose come riferimento, non può che barcamenarsi ed adeguarsi fiutando il vento che spira in quel determinato momento. La verità, la chiarezza diventano orpelli inutili se non dannosi per catturare il voto degli italiani. Finora non c’è stato governo che non si sia barcamenato tra questo o quel blocco sociale, tra formule ideologiche miste, tra il promettere ed il blandire tutto ed il contrario di tutto. Non resta quindi che un eterno immobilismo tattico. Se Flaiano fosse ancora vivo forse ci avrebbe offerto un altro lampo umoristico, proposto come soluzione la fondazione del “partito dell’attesa”. Un solo punto programmatico: qualunque cosa accada noi minacciamo di aspettare!!

*già parlamentare