“SITCOM”: IL (PRIMO) “TEOREMA” DI OZON DISTRUGGE IL SENSO DEL SACRO 

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di Mariantonietta Losanno 

Si apre il sipario: siamo nel mondo di François Ozon. Un universo ancora in costruzione (si tratta del suo esordio alla regia), eppure perfettamente coerente con quello che è stato, poi, realizzato dopo. È la famiglia il punto di partenza dell’analisi: la pellicola è ambientata (quasi esclusivamente) negli spazi domestici, che – per antonomasia – sono spazi sacri, dove non è ammessa alcuna violenza. Eppure, veniamo catapultati in una realtà perversa ed oscena, in cui, i vari componenti sono accomunati da una feroce volontà di provocare e di fare ricorso, in modo spregiudicato, alla sessualità che risolve (o dovrebbe farlo?) ogni possibile contrasto. L’opera prima di Ozon è una sorta di Teorema – come quello di Pasolini – che ha per argomento l’irredimibilità della borghesia, destinata a soccombere proprio attraverso il suo strumento di dominio: la razionalità illuministica. L’individuo borghese prende coscienza dell’Altro, mettendo, in questo modo, in discussione la propria identità e arrivando a confrontarsi con il proprio vuoto, con la propria rassegnazione e con la propria morte. Il forte livello di ambiguità e contraddittorietà si incastra con la noia esistenziale profonda della classe dominante: l’unica espressione consentita è informe, bestiale, disperata. Un grido di impotenza. 

Entriamo a contatto con la famiglia rappresentata da Ozon e impariamo a conoscere il loro modo di vivere e di convivere. C’è la madre che accetta (felicemente) i gesti plateali di affetto della figlia con il fidanzato, che si “allarma” quando scopre il figlio è gay e prova a farlo aiutare da un uomo di colore (come lo chiama lei) che dovrebbe riportarlo sulla strada giusta. Un uomo che lo aiuta, sì, ma a testare la sua omosessualità con lui. C’è il padre che vive incurante di ciò che lo circonda e dispensa proverbi qua e là e che, però, per fare felici i figli, porta a casa un topolino, che è proprio l’origine del Male. Poi ci sono i figli: uno alle prese con delle “sessioni di gruppo” che svolge – ancora – in casa e l’altra che tenta e ritenta il suicidio. Infine, la colf, come ogni famiglia borghese che si rispetti. Ozon deride tutti, creando la sua sitcom neppure troppo artefatta. Le distruzioni continue sono fin troppo plausibili (meno, forse, gli aspetti legati alla sessualità “libera”); i modi di ignorarsi e di non far caso a quello che accade intorno – neppure ad un centimetro dal naso – sono reali in tante famiglie. Siamo sicuri che sia una sitcom

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La durata breve (ottantacinque minuti) evita che ci si possa lasciar innervosire dai vari deliri; ricordiamo, invece, che Teorema sconcertò per il contenuto, definito osceno. Tra gli spettatori, uno d’eccezione, Jean Renoir, che rispose ad un giornalista: “À chaque image, à chaque plan, on sent le trouble d’un artiste”. Ozon non eccede, costruendo un’idea di anarchia condivisibile, che si serve di un’ironia pungente. Tra possibili tentativi (aggressivi) di “guarigione” e sogni sperati ma mai realizzati, Sitcom sintetizza in modo acido e sfacciato lo sguardo di Ozon e ricorda – in parte – quello di Fassbinder (ricordiamo che, il regista francese ha realizzato una pellicola ispirata proprio al dramma teatrale Le lacrime amare di Petra von Kant di Rainer Werner Fassbinder) in una delle sue opere più disperate, Il diritto del più forte

La costante è il topo, il tipo perfetto di animale capace di intrufolarsi ovunque, di spaventare la maggior parte delle persone, di portare sporcizie e (eventualmente) malattie. È colpa del ratto, allora: va eliminato.