ESTATE DI CLASSICI – “DOODLEBUG”, CHRISTOPHER NOLAN: INDIZI DI OSSESSIVITÀ 

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di Mariantonietta Losanno 

Tre minuti che racchiudono la cifra stilistica di Christopher Nolan. La storia è (fin troppo) semplice: un uomo cerca di dare la caccia ad un insetto nel suo squallido appartamento. La larva (da cui, appunto, il titolo, che può tradotto letteralmente in “larva”, “insetto”) in questione, però, non è altro che la miniatura del protagonista che compie i suoi stessi movimenti. Come un camaleonte – sotto effetto della sindrome di Zelig? – che, di fatto, perde la sua identità, non possedendone una a sé stante e adattandosi a incorporare quella dell’altro, che però, è se stesso. Perde i contorni, quasi come se non esistesse, come se non fosse reale.  In Doodlebug è evidente la volontà di Nolan di soffermarsi sul concetto di Tempo, sulle mutevoli esperienze della memoria, sull’identità, sui deliri e sulle allucinazioni. Caratteristiche che saranno sviluppate in tutte le sue opere, a cominciare con The Following, passando – naturalmente – per Memento, Insomnia, Inception,  arrivando a Tenet. Il corto rimanda, poi, anche alla pura irrazionalità di Darren Aronofsky in Pi greco – Il teorema del delirio, per la capacità di perseguire (ossessivamente) un obiettivo astratto, perdendo la cognizione dell’ambiente circostante. 

Trovare godimento nel dare la caccia a se stessi: un godimento slegato dalla logica del bisogno. Una mania. I tre minuti di Doodlebug evocano il mondo di David Lynch, citando – ad esempio – The Alphabet, suo primo cortometraggio, un “minuscolo” incubo, imperniato sulla paura connessa all’apprendimento. Un esperimento capace di descrivere le frustrazioni che derivano dal bisogno di verbalità; in grado di mettere a fuoco la paura e la parola, tutto quello che si manifesta in un confine labile tra tangibile e intangibile, ma che è, al tempo stesso, denso di realtà. Così Doodlebug delinea lucidamente intuizioni incontrollabili, immensità inevitabilmente isteriche, fantasmi evanescenti. 

%name ESTATE DI CLASSICI   “DOODLEBUG”, CHRISTOPHER NOLAN: INDIZI DI OSSESSIVITÀ A proposito di insetti – poi – come non ricordare Il pasto nudo, pellicola diretta da David Cronenberg e tratta dal romanzo di William Burroughs? Come non soffermarsi sullo scarafaggio parlante, sull’immaginazione deviante, sui labirinti ossessivi e “maleodoranti” (come sembra essere l’appartamento dove si sviluppa l’incubo di Doodlebug)? Il tempo e lo spazio vengono declinati in tutti i modi e in tutte le distorsioni possibili: tempo percepito, tempo reale, destrutturazione dei significati, luoghi che “parlano” e prendono vita, costruzioni reali che si alternano ad altre immaginarie e paradossali. Nolan (influenzato da Alan Parker e Andrej Tarkovskij, di cui, in un’intervista ha ricordato l’importanza di una delle sue opere, Andrej Rublëv) costruisce il suo labirinto – come quello di Borges (?) – laboriosamente e metodicamente: wink sufficienti tre minuti. D’altronde, basti ricordare che esiste un Tempo “di” Nolan, che può essere combinato e ricombinato secondo logiche nuove. Che può essere rallentato, manipolato, scisso. 

E, ancora a Tarkovskij, si rifà la “passione” per le fotografie che ha ispirato Memento e l’ossessione di immortalare il Tempo e i suoi diversi “colori”. Alla morte del regista de Lo specchio, infatti, i familiari scoprirono  centinaia di polaroid nascoste (?) dentro ad una scatola di scarpe. Ma il figlio Andrej Andreevic, meravigliato, ha affermato in un’intervista che suo padre non fosse interessato alla fotografia. Eppure, tra il 1977 e il 1984 Tarkovskij registrò i suoi pensieri e i posti che visitò con una macchina Polaroid. Diventò talmente ossessionato da non andare da nessuna parte senza. La macchina a sviluppo istantaneo diventò il suo specchio e al tempo stesso il suo diario. Le istantanee permettono una rappresentazione della vita ridotta all’essenziale, in maniera da renderle senza tempo. Diventano, allora, un modo per ricordare, come per il Leonard Shelby di Nolan.