“UN BEAU MATIN”, MIA HANSEN-LØVE: UN INTIMO SENTIRE, TRA LE RIGHE 

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di Mariantonietta Losanno 

Perduta quell’integrità dedita al decorum e alla compostezza, si insedia (vittoriosa) una forza distruttrice della coscienza; un’inquietudine, un’irrequietezza che sembra ansiosa di conoscere la “fine”. La fine delle idee (Baudelaire parlava dell’«autunno delle idee» per identificare il “nemico”), delle emozioni, della voglia di raccontare e raccontarsi. E anche la fine della lettura, strumento di indagine di se stessi. Il padre di Sandra ha una malattia degenerativa, che non gli consente (purtroppo?) di perdere cognizione del dolore per non soffrire più. È disorientato e confuso, la sua vista è annebbiata, la sua anima sembra intrappolata dalle forze demolitrici della patologia. Anche Sandra (vedova da cinque anni e con una bambina) deve confrontarsi con questo “male”, aggrappandosi a qualcosa che sembra essere saldo. All’immagine che aveva di suo padre, ad esempio. Alla sua biblioteca, che le restituisce un’idea più veritiera dell’uomo che è stato (e che è, riuscendo – difficoltosamente – a separare i ricordi dal dolore); ai suoi libri, che non ha scritto ma ha scelto, e che raccontano la sua personalità. Ne definiscono un ritratto, una pennellata dopo l’altra. 

%name “UN BEAU MATIN”, MIA HANSEN LØVE: UN INTIMO SENTIRE, TRA LE RIGHE Non è, però, l’unico percorso che Sandra compie. Mentre si impegna a mantenere intatte le sue memorie e assiste suo padre, si imbatte – anche – in un rapporto nuovo, con Clément, un vecchio amico in piena crisi coniugale. Lei, che pensava che «l’epoca dell’amore fosse finita», si (ri)scopre desiderosa di sentimenti e passioni. Si avvicina a quell’uomo mentre si allontana da un altro – suo padre – o, meglio, da quell’uomo che la malattia ha costruito. Ma è proprio «là dove la vita alza un muro» – dice Proust – che «l’intelligenza apre una breccia». Che si ricomincia a vivere, anche quando si sta per morire. Sia il lutto per Sandra, che la malattia degenerativa (e, per certi versi, denigrante per il corpo e la mente) per il padre, vengono contrastanti da uno stimolo, all’improvviso – un bel mattino – e vengono trasformati in altro(i). Mentre lei si concede l’occasione di un nuovo inizio, suo padre fa i conti con una “fine” che non deve essere per forza (così) crudele. Una “fine” addolcita dal ricordo degli autori preferiti (Thomas Mann, Hannah Arendt, Goethe, Kafka, Elias Canetti), che può essere anche “ballata” e “cantata”. Che non è per forza un addio. Adottando questo approccio, Mia Hansen-Love (ci) ricorda il modo in cui Michael Haneke ha raccontato la vita che continua in Amour, difendendo – violentemente – la scelta di morire in un “certo” modo, accettando sensi di colpa, umiliazioni, silenzi e disperazione. E (ci) riporta, poi, anche a François Ozon e al suo modo (ironico) di dire che É andato tutto bene

In fondo, è un bel mattino. Basta impedire alla gente di provare compassione, basta dimostrare di essere vivi; basta essere gentili, non imporsi di «farsi forza sul più forte» perché non sempre esiste un coraggio tale da prevalere su un altro. Basta scegliere le parole appropriate, esercitare la memoria, non accanendosi sui ricordi più dolorosi. Basta saper cogliere, leggere, elevarsi attraverso la scrittura. Basta scegliere. Basta accettare di non saper riconoscere ogni luogo (anche la propria casa) perché – semplicemente – è cambiata la conformazione o la percezione; basta ricostruire la memoria quando qualcosa è stato perduto o dimenticato. Sì, in fondo è un bel mattino. 

%name “UN BEAU MATIN”, MIA HANSEN LØVE: UN INTIMO SENTIRE, TRA LE RIGHE Mia Hansen-Løve protegge i suoi ricordi (non è un caso che il suo film precedente sia dedicato proprio a Bergman) e, seppur inconsciamente, consola gli spettatori. Come una carezza, come un sorriso. Resiste, traendo da quel “poco” che resta la forza per accettare che il mantenimento della dignità, a volte, non può esistere senza il prezzo della morte. Quel silenzio della “fine” va riempito con (ancora più) amore. 



«Come amare sapendo che la separazione ci aspetta?

Come essere pienamente e saper sparire? Non lo so. 

Sono le leggi della vita, le sue imperscrutabili coreografie,

danze per non vedenti, un soffio leggero ci sfiora la faccia 

e le mani e pur non vedendo sappiamo: la danza continua» 

Chandra Livia Candiani, Questo immenso non sapere