“REPTILE”: SULLE TRACCE DI UN DÉJÀ-VU COLLAUDATO, MA ATTENZIONE ALLA “PELLE”

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di Mariantonietta Losanno 

%name “REPTILE”: SULLE TRACCE DI UN DÉJÀ VU COLLAUDATO, MA ATTENZIONE ALLA “PELLE”Una donna viene trovata assassinata in casa. Si pensa ad un omicidio passionale, si interroga il compagno, poi ci si rivolge all’ex e ancora dopo ad un tipo losco che sembra avere motivi di vendetta. Prima possibile soluzione: qui subentrano gelosie, crisi di coppia, comunicazioni disfunzionali che sfociano in tensioni e conflitti. Il detective della polizia scopre strani intrecci che fanno pensare ad un piano ben studiato per non fare parlare la ragazza, e quindi per ucciderla. Seconda possibile soluzione: entrano in gioco il concetto di “morale” e l’idea che “sporcarsi le mani” – per chi lavora in polizia – è lecito fino a quando ci sono altri disposti a pulirle o a coprirle. La storia inizia ad adattarsi ad un ritmo sonnambolico (un po’ in stile Insomnia) quando il detective che si occupa del caso viene tormentato da continue allucinazioni. Terza possibile soluzione: si lotta per sottrarsi alle voci della propria coscienza e al “male” in ogni sua possibile manifestazione.

Ammettiamo che ognuna di queste tre soluzioni possa risultare definitiva, qual è il punto della questione? L’esordiente Grant Singer – formatosi nel videoclip – a cosa è interessato? Abbandoniamo per un attimo la classifica di Netflix che vede Reptile tra i titoli più visti, cos’è che rende questo thriller un thriller? Perché, a dirla tutta, nonostante le tre soluzioni proposte, si avverte – in modo invadente – la sensazione di rivivere un déjà-vu. Quella donna uccisa è sempre la stessa, il detective ha sempre lo stesso torbido passato (di cui non viene detto nulla), i poliziotti più insospettabili hanno sempre qualcosa di inconfessabile da confessare. E allora forse il punto della questione è questo: riuscire a godere di un poliziesco che non necessariamente inventa ma che neppure si adagia passivamente nelle trappole delle citazioni. Ché non sempre, alla fine, i luoghi comuni sono così inospitali. Non è detto che sia un male affidarsi alla prevedibilità. Certo, la lentezza un po’ stupisce – trattandosi di un thriller – ma è anche un’arma che consente un forte autocontrollo. La soluzione c’è, anzi, ce ne sono tante. Sono tutte visibili, non serve neppure attivare il proprio istinto investigativo e accanirsi più di tanto.

%name “REPTILE”: SULLE TRACCE DI UN DÉJÀ VU COLLAUDATO, MA ATTENZIONE ALLA “PELLE”Forse, però, è proprio il titolo a non adattarsi alla messa in scena. Immaginando un serpente, infatti, quello che viene subito alla mente è la pelle. Pelle che cambia, ma che avvolge anche l’animale – e la persona – definendolo, distinguendolo e mettendolo in relazione con gli altri. È più complesso di quello che sembra, da un punto di vista psicologico, narrativo, simbolico e spirituale. La pelle può essere ferita, coperta, tatuata, ustionata, arrossata. Ci sono tante declinazioni possibili. Basti pensare a “salvarsi la pelle”, che un po’ come “salvarsi l’anima”. Forse, allora è proprio il titolo – Reptile, appunto – a non rispecchiare quel ritmo pigro e quell’accenno di azione che all’improvviso arriva (perché ad un certo punto deve arrivare necessariamente). La sensazione di déjà-vu è quella che resiste a tutto. È più forte anche delle possibili soluzioni su cui riflettere. Si impone con più arroganza, non lasciando spazio per altro. E se invece si fosse trattato di una miniserie? Con più dettagli, con una tensione differente, con un epilogo più agognato. Sarebbe cambiato qualcosa? Pensiamoci su, lentamente: il tempo per farlo c’è.