“IL POSTO DELLE FRAGOLE”, INGMAR BERGMAN: UN AUTO-TERAPIA PER RIALLINEARSI CON SÉ STESSI

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di Mariantonietta Losanno 

IMG 2740 300x229 “IL POSTO DELLE FRAGOLE”, INGMAR BERGMAN: UN AUTO TERAPIA PER RIALLINEARSI CON SÉ STESSIIl professore Isak Borg, allo scrittorio, si interroga sulla sua condizione di anziano: “I nostri rapporti col prossimo si limitano per la maggior parte al pettegolezzo e a una sterile critica del suo comportamento. Questa constatazione mi ha lentamente portato a isolarmi dalla cosiddetta vita sociale e mondana. Le mie giornate trascorrono in solitudine”. Batteriologo di fama, settantottenne, Isak ha dedicato la vita alla sua professione. Ha un figlio medico e ha ancora una madre ultranovantenne. La moglie è morta da qualche anno, però, il loro non è stato un matrimonio felice. Ora Isak – che si definisce autonomamente cocciuto e pedante – vive solo con la brava e fedele governante. Il festeggiamento del suo giubileo professionale a Stoccolma sarà l’occasione per compiere un viaggio nel suo passato, ricordando persone, luoghi, situazioni irrisolte della sua vita.

La pellicola compie una traiettoria circolare, ha inizio con un incubo e finisce con un sogno idilliaco, come a voler rappresentare un percorso che si conclude (o meglio, si deve concludere). Un viaggio esistenziale alla ricerca di un tempo che si sa che è perduto ma che non si è forse compreso a fondo. “Il posto delle fragole”, serena meditazione sulla vita e sulla morte, è una storia di conversione: Isak Borg al termine dell’itinerario che si snoda attraverso il racconto, cambia atteggiamento nei confronti del prossimo, rammaricandosi per il suo egoismo e la sua freddezza. È un film sulla nostalgia per la giovinezza, sull’“estate” che è passata e non può più tornare. È un film sugli affetti come valore primario della vita: è una necessaria ammissione di colpe, una dolorosa ma provvidenziale messa a fuoco dei propri fallimenti e dei propri limiti. La costruzione è perfetta: realtà, sogni e ricordi si intrecciano senza intaccare la linearità dell’opera. A differenza di altri film di Bergman, ne “Il posto delle fragole” è tutto lineare, nulla è oscuro. I pochi simboli sono chiarissimi, a cominciare dall’orologio senza lancette che indica la fine del tempo, e che Isak vede prima nell’incubo e poi tra gli oggetti che gli vengono mostrati dalla madre. Il comportamento “giullaresco” dei tre giovani accettati come compagni di viaggio esprime la spensieratezza di una gioventù felice, ma tutt’altro che superficiale. L’itinerario – dal primo incubo fino al rassicurante sogno finale – è quasi un inno alla vita e un’esortazione a capirne la bellezza nel rapporto con gli altri. Bergman non rinuncia alla lezione sull’amore come momento di soluzione di ogni crisi, anche intellettuale: “Sono morto pur essendo vivo”, dice alla nuora il professore Isak che ha dimenticato l’amore. E “Vorrei essere morto”, dice invece Evald alla moglie nel rifiutare l’amore che dà la vita un nuovo essere umano.

%name “IL POSTO DELLE FRAGOLE”, INGMAR BERGMAN: UN AUTO TERAPIA PER RIALLINEARSI CON SÉ STESSILe somiglianze con “Il settimo sigillo” non sono poche: la minaccia incombente è sempre la morte, ma la partita a scacchi questa volta è costituita dal confronto con il proprio passato. Lo strumento del sogno è particolarmente caro a Bergman (“I sogni riescono a dirmi molte cose; non nel modo freudiano, ma in un senso totalmente umano”), perché gli consente di assaporare il gusto della libertà narrativa. Abbiamo tutti un “posto delle fragole”, un luogo dove ci si può ritrovare con semplicità e autenticità. Un luogo che permette di mostrarci quello che siamo diventati e quello che abbiamo perduto e quello che si può ancora recuperare. Per Isak, al posto di una madeleine proustiana, ci sono le fragole che la sua amata cugina Sara coglieva a rappresentare metaforicamente il suo passato: da lì tutti i ricordi riaffiorano, come tappe di un percorso catartico dentro di sé. “Il posto delle fragole” è, dunque, anche un film sul tempo, sul cambiamento, sulla paura. Il tempo è il protagonista del racconto sia nel confronto tra le diverse epoche presentate, sia nel contrasto fra le generazioni. C’è chi affronta la paura indossando una maschera – come si può notare in “Persona” – provocando una frattura tra l’essere e il sembrare: qui la maschera l’ha indossata il professore, Marianne glielo dice e lo aiuta anche un po’ a togliersela per ritrovare quel che resta della sua umanità. Al termine del suo percorso, qualcosa è mutato: Isak inizia a trattare con gentilezza la governante, poi tenta la riconciliazione tra il figlio e la nuora e infine si addormenta ripensando ancora ai momenti felici dell’infanzia e in particolare all’immagine dei genitori.

Le tappe del viaggio introspettivo di Isak sono tutt’altro che accomodanti: ci sono uomini senza volto che si dissolvono, bare con all’interno la sua stessa salma, docenti che lo umiliano e lo condannano alla solitudine, incidenti, rimpianti, occasioni perdute, nostalgie. Ognuno di noi nel proprio “posto delle fragole” può osservarsi dall’esterno, persino giudicarsi; può esporsi, riaprire delle ferite dolorose, può liberarsi. Bergman – che nel 1957 aveva quarant’anni – parla anche di se stesso (e a se stesso), della propria famiglia e della nostalgia per la sua giovinezza: “Il posto delle fragole” è un’occasione (in primis per Bergman) di fare auto-terapia per redimersi e riappropriarsi di se stessi.

Custodiamo tutti gelosamente il nostro “posto delle fragole”.