“FIRE (POZAR)”, DAVID LYNCH: IL SEGNO DELLA SCRITTURA DI DAVID LYNCH È LA DECOSTRUZIONE DI JACQUES DERRIDA? 

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di Mariantonietta Losanno

IMG 2791 300x157 “FIRE (POZAR)”, DAVID LYNCH: IL SEGNO DELLA SCRITTURA DI DAVID LYNCH È LA DECOSTRUZIONE DI JACQUES DERRIDA? Il contrario di ciò che è continuo – per David Lynch – non è il discontinuo, ma l’inatteso. Ed è (ancora una volta) un’inaspettata intuizione, quella di Fire (Pozar), cortometraggio apparso sul canale YouTube del regista nel 2020, ma risalente al 2015. Un’intuizione che (ci) riporta alle origini della sua filmografia, alla pittura, al fuoco, all’ossessione.

Siamo in un teatro, il sipario si apre e sullo sfondo iniziano a muoversi immagini sconcertanti. Forse un uomo con una fiaccola, poi una fessura da cui entra qualcosa (qualcuno?), un vortice, un’ombra. Occhi che prendono vita e acquisiscono sembianze pseudo-umanoidi, ancora altri occhi ma slegati, buchi o crepe da cui si riescono a vedere le cose. Un movimento, come una scossa improvvisa, che crea una sensazione ancora più destabilizzante. Poi mani, lacrime, pioggia. Questi sono solo alcuni dei frammenti che si riescono a vedere, quasi a rubare, dall’intuizione di Lynch, nata in collaborazione con Marek Zebrowski (con il quale nel 2007 Lynch ha realizzato il disco Polish Night Music): «Il nostro esperimento sta proprio nel fatto che io non do alcuna informazione a Marek sulle mie intenzioni e lui deve poi interpretare le immagini a modo suo». Le due forme d’arte, quindi, si legano in modo inconsapevole, tradendo o soddisfando i presupposti di partenza. È così che deve essere: un viaggio nell’inconscio, che s’insinua – strisciando –  nello spettatore. Tutto è più complicato (o semplice) di quello che sembra; ciò che si presenta ha dietro di sé qualcosa che non si presenta, ma che lo rende possibile, non per un gusto della complicazione fine a se stessa, ma perché l’apparenza spesso può essere fuorviante, ingannevole, ideologica.

IMG 2790 300x169 “FIRE (POZAR)”, DAVID LYNCH: IL SEGNO DELLA SCRITTURA DI DAVID LYNCH È LA DECOSTRUZIONE DI JACQUES DERRIDA? Si tratta, allora, più che di una costruzione di significato, di una de-costruzione. Possiamo condurre questo discorso partendo da Paul Ricoeur, che ha individuato un filone all’interno della storia del pensiero raccogliendo sotto l’etichetta “scuola del sospetto” tre pensatori: Marx, Nietzsche e Freud. Tutti e tre sono accomunati dal fatto di avere introdotto nella filosofia criteri di smascheramento, di critica e di sospetto nei confronti di quello che ci viene tramandato. Hanno fatto apparire la scena retrostante (quella che si cela dietro il sipario di un teatro), smontando quella sorta di gerarchia prestabilita. Questo tipo di atteggiamento nel Sessantotto parigino entra all’interno di un complesso sistema di relazioni e di figure filosofiche come Jacques Derrida, Gilles Deleuze, Michel Foucault e Jean-François Lyotard. Viene fuori, così, qualcosa che molto spesso risulta minimizzato o trascurato. Decostruire non significa semplicemente smontare quello che ci viene proposto, ma anche mostrare che cosa c’è dietro certi pensieri. Che cosa vuol dire essere presenti o scomparire, cosa vuol dire pensare, cos’è la tecnica, la natura, la spontaneità. Quei simboli complessi e indecifrabili che David Lynch volutamente rende impossibili da cogliere nella loro interezza, sono tracce, possibilmente anche forme di registrazione per mettersi al riparo dall’idea di caducità che è quella dell’essere umano. O forse non sono legate al tema della morte, ma sono fasi del pensiero estemporanee, illusorie, inconsistenti. O ancora, sarebbe preferibile abbandonare le idee che abbiamo mitizzato perché facilitano il giudizio e ci rassicurano.

Lynch, in effetti, un indizio lo ha dato, come da sua consuetudine. Ha preso parte, infatti, nel 2019, all’album musicale Flamagra di Flying Lotus, in cui è stato preannunciato il fuoco. Una coerenza di fondo c’è, ma è necessario che ci sia?