POST-DEMOCRAZIA

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vincenzo danna POST DEMOCRAZIA
Vincenzo D’Anna

di Vincenzo D’Anna*
Chiunque si sia interessato di politica con la consapevolezza derivante da un minimo di approfondimento culturale, per poter scegliere un partito oppure lo schieramento politico con adesione convinta e ragionata, ha certamente letto qualche testo dei sociologi Max Weber e Raymond Aron.Il primo, tedesco, previde con lucidità la fine dei partiti di massa, ovvero quelli che avevano un forte radicamento sociale e ideologico, con l’avvento del professionismo politico e dei partiti pigliatutto. Il secondo, francese, descrisse con chiarezza le origini del totalitarismo che avrebbe caratterizzato la politica nel secolo scorso, con la responsabilità degli intellettuali che non avevano denunciato, per pavidità oppure per interesse, i pericoli delle ideologie totalizzanti. Sono autori le cui opere, a distanza di decenni, si rivelano oltre che profetiche, anche di fresca attualità.Weber avvertì che, con la fine delle ideologie e del radicamento ai blocchi sociali di riferimento, la politica si sarebbe professionalizzata e svuotata di contenuti, sarebbero sorti partiti plurivalenti capaci di conciliare valori di riferimento sociale ad ampio spettro, spesso in antitesi con la storia politica, la tradizione culturale e gli interessi dei ceti sociali rappresentati. Insomma partiti pigliatutto votati al cinismo elettorale ed al qualunquismo ideale, roba che solletichi la pancia più che il cervello dei cittadini. Cos’altro può meglio definire i due governi Conte che nascono su sponde in antitesi tra di loro ed entrambe in antitesi alla campagna elettorale nella quale i partiti si erano dichiarati alternativi? Chi meglio di Aron e del suo testo “L’oppio degli intellettuali” può descrivere lo stato di torpore e di accondiscendenza della stampa che caratterizza il mondo universitario, il mondo delle professioni liberali, delle imprese, delle associazioni di categoria e dei sindacati?Dunque, le profezie dei due sociologi si sono avverate. In un contesto degradato sotto il profilo della coerenza ideale non può che nascere, in Parlamento, l’idea di un sistema elettorale che sia altrettanto ambiguo e funzionale al partito pigliatutto. Ecco che allora, pur tra mille urgenze dovute alla stasi economica derivata dal blocco delle attività a causa del Covid-19 e mentre il debito pubblico lievita e ci ricorda che un giorno dovremo ripianarlo con lacrime e sangue, il Parlamento mette in cantiere l’ennesima riforma elettorale. Lo fa in sordina, come nello stile di chi sa di dover raggiungere uno scopo politico non certamente di alto profilo, ma di grande utilità.Non è bastato a lorsignori un sistema elettorale proporzionale, sia pur privo di voti di preferenza, con un minimo di recupero maggioritario con listini preconfezionati. Un sistema che ha creato la paralisi politica e che ha indotto la formazione di due governi, quelli di Conte, tra forze politiche apertamente ostili in campagna elettorale. Una mostruosità alla quale ci siamo rapidamente rassegnati come fatto ineludibile. Ci siamo poi ulteriormente indignati per il  trasformismo di un Governo, diretto sempre dalla stessa persona, indicata dal M5S, ma con il PD al posto della Lega. Nel tempo della politica dei partiti di massa mai si sarebbero potuti truffare gli elettori in modo così plateale nel breve volgere di un anno.Immemori di tutto quanto il sistema elettorale proporzionale vigente ha provocato, si comincia a discutere di una nuova proposta di legge che aumenti il proporzionale e cancelli del tutto la quota di maggioritario. Insomma, un ritorno al passato senza partiti politici ma con partiti pigliatutto legati alla persona con l’autorizzazione, per i leader, di fare l’uso che vogliono del voto ricevuto dagli elettori. Via i partiti, via i blocchi sociali di riferimento, via le idee ed i programmi a quei blocchi sociali riferiti, via la possibilità di un maggioritario che consenta all’elettore di scegliere. Dunque, depauperata ogni possibilità che metta il popolo stesso nella condizione di scegliere e di determinare col proprio voto il Governo. Mano libera, invece, agli acrobati della poltrona che, turlupinati gli elettori, hanno campo libero per scegliere solo secondo la propria convenienza.La gente non capisce e si allontana da questa forma di post-democrazia che si caratterizza con il messaggio di utilizzare il voto ricevuto col massimo della discrezionalità, in barba alle indicazioni ricevute dall’elettorato. In questo cupio dissolvi politico prevalgono il localismo ed il razzismo, la necessità di vincere senza se e senza ma. Ecco quindi spiegata la vocazione all’ammucchiata di uomini e liste elettorali, l’elogio del qualunquismo e del personalismo. Se poi le elezioni sono regionali, si aggiunge anche la zavorra del territorio e dei mille compromessi particolari, delle liste arlecchino e dei cambi di casacca.
*ex parlamentare