“18 REGALI”: COME TRATTARE UN DRAMMA REALE IN ASTRATTO

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          –         di Mariantonietta Losanno       –                  99195 ppl scaled “18 REGALI”: COME TRATTARE UN DRAMMA REALE IN ASTRATTOElisa è all’ottavo mese di gravidanza. Durante un’ecografia, scopre di avere un tumore allo stadio terminale; consapevole di dover abbandonare la figlia, allora, decide di comprare diciotto regali che possano accompagnarla nel suo percorso di crescita. Anna non accetterà, però, questi regali come un dono d’amore, ma piuttosto come un’eredità imposta, una sorta di ricatto morale. Il giorno del suo diciottesimo compleanno, proprio quando deve ricevere l’ultimo regalo, Anna -guidata da un desiderio di ribellione- scappa dalla festa, viene investita da un’auto e si ritrova faccia a faccia con la madre mai conosciuta. Liberamente ispirato alla storia di a Elisa Girotto (raccontata dal marito Alessio Vincenzotto, che ha anche collaborato alla sceneggiatura), “18 regali” si inserisce in quel sottogenere di film che comprende “My life – Questa mia vita”“Ghost”“Colpa delle stelle”, “Le pagine della nostra vita”“Io prima di te”“Ps – I love you”: si tratta di quei film che, in modo più o meno concreto, affrontano l’elaborazione del lutto da un punto di vista differente. coverlg home scaled “18 REGALI”: COME TRATTARE UN DRAMMA REALE IN ASTRATTOTrattare il tema del dolore non è mai una cosa semplice. Il rischio di cadere nell’eccessivo pietismo, nel melodramma o nel banale è alto: questo non accade a Francesco Amato (regista di “Lasciati andare” e “Cosimo e Nicole”), che è riuscito a reinterpretare un dramma reale lavorando, però, in astratto. Anche l’ardita soluzione narrativa di muoversi nel soprannaturale per consentire un incontro tra madre e figlia non confonde lo spettatore, né lo porta a domandarsi in modo razionale quell’incontro così spiazzante e assolutamente inspiegabile quando sia avvenuto a livello temporale: Anna ed Elisa si scoprono in un luogo che non né realtà né sogno, è semplicemente un’ “altra dimensione”, un territorio impossibile da definire, ma che consente loro di conoscersi, di (ri)apprezzare la vita per quanto riguarda Anna e di avere la forza di rinunciarci per quanto riguarda invece Elisa. Quest’incontro surreale, infatti, dà modo ad una ragazza di diciotto anni di poter godere -anche se per poco- dell’amore di sua madre, di vivere il rapporto con lei in modo amorevole ma anche conflittuale, di poter mettere pace dentro di sé calmando la rabbia e il senso di colpa nell’essere venuta al mondo mentre la madre moriva. Anna rinasce, consapevole di dover andare avanti nonostante tutto, certa di dover convivere con il dolore, ma con più forza: il regista sfrutta l’espediente fantasy per far capire che, per quanto non ci sarà mai una spiegazione logica alla malattia, alla fine prematura di una vita e a quello che viene visto come “ingiusto”, bisogna aggrapparsi a quei momenti d’amore che si ha avuto la possibilità di vivere. Uno dei temi ricorrenti del film è, infatti, la scrittura: Elisa sente il bisogno di lasciare alla figlia, oltre ai regali, parole scritte che la aiutino a superare le difficoltà che inevitabilmente dovrà affrontare. Sarà poi compito di Anna riuscire ad “adattare” quelle stesse parole nel suo percorso di maturazione, permettere a quegli insegnamenti di essere d’aiuto anche in età adulta: dovrà, dunque, farli propri, renderli attuali e riferibili anche ad altre situazioni. È un lavoro difficile, ma è l’unico modo per non perdere mai l’amore di sua madre.

3270104 C 2 fotogallery 3082957 0 image “18 REGALI”: COME TRATTARE UN DRAMMA REALE IN ASTRATTOÈ innegabile come, con una storia di cronaca come questa, il pubblico potesse commuoversi ed emozionarsi: “18 regali” scuote e fa anche soffrire. Perché permette di vedere “come sarebbe andata se”: un’occasione che tante persone che hanno dovuto elaborare un lutto avrebbero voluto avere. La commozione è lecita, ma la pellicola di Francesco Amato vuole spingere solo ad apprezzare di più la vita, vuole mostrare come un amore così forte sia capace di scavalcare il presente per proiettarsi nel futuro. Per cui, lo spettatore accetta più facilmente anche la svolta soprannaturale poco plausibile, perché è gestita con grande pudore e perché non ha intenzione di manipolare o di forzare le lacrime. Il regista “usa il tempo” per raccontare e trasportare -con estremo rispetto- una storia vera nel surreale: ci si pongono domande dolorose, si soffre per quell’amore che “bisogna far presto ad amare” perché non si ha la possibilità di fare altrimenti, ma quello che ne viene fuori è un inno alla vita, non un film sulla morte.