LA NOTTE DEL RISVEGLIO (ultima puntata)

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–             di Francesco Aliperti Bigliardo *           –          

 –            disegni di Daniele Bigliardo **                  –

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 Gegè li vide per primo e capì che qualcosa non andava per il verso giusto. Non c’era la gioia di sempre nel loro avanzare. “Ecco spiegato tutto il ritardo! Hanno acchiappato e mazzate, stanno chin’e scippi!” La verità dei fatti fu resa esplicita nel convulso racconto che Raffaele e Gabriele fecero al resto del gruppo. Tremavano ancora ed erano visibilmente scossi mentre evocavano pallottole e boati che avevano caratterizzato la loro ultima mezz’ora di vita. “Guagliù, nuje nun c’ha facimmo!”. La dichiarazione degli arcangeli non mancò di gettare i giovani nel più nero sconforto. Non c’era più tempo, dovevano trovare il modo di raggiungere Piazza del Plebiscito. Senza gli arcangeli la notte del risveglio si sarebbe trasformata nell’ennesima bruciante disfatta, ma dovevano comunque avvisare il resto dei partecipanti. Furono mandati avanti quelli che dovevano montare lo striscione ed allestire la scenografia dell’evento insieme al gruppo della Sanità. Intanto si sarebbero tentate cure rigeneranti, che restituissero vigore ed Immagine 3 scaled LA NOTTE DEL RISVEGLIO (ultima puntata)entusiasmo ai veri protagonisti della serata. In quell’istante risuonarono due spari di rivoltella accompagnati dallo strombazzare folle di un’autovettura sbucata dai vicoli della “Duchesca”. Al volante della stessa c’era, manco a dirlo, Giovanni mezza recchia che, come Jena Plissken a bordo dell’aliante, pareva intenzionato a completare la sua vendetta.

Arrivò a destinazione con il cuore che gli batteva in gola. “Il bazooka è al suo posto!” La strada antistante l’armeria, a parte la solita puttana di colore e l’assiduo coro di disperati che le ronzavano intorno, era completamente deserta. Il negozio aveva la serranda già abbassata per metà, come capita, in segno di rispetto, quando è previsto che debba transitare un corteo funebre. Non gli restava molto tempo però. Tra un po’ il proprietario dell’armeria avrebbe XXX scaled LA NOTTE DEL RISVEGLIO (ultima puntata)azionato il motorino che abbassava definitivamente le serrande rendendo impossibile qualsiasi tentativo di furto. D’un tratto ecco passare circospetta…. una… volante dei carabinieri! Cosa diavolo ci facevano i carabinieri la dietro? Fortuna volle che i due sottufficiali di ronda nemmeno lo degnassero di uno sguardo, intenti come erano a seguire la fuga dei soliti mosconi dal pezzetto di carne con le tette.

Aveva appena scaraventato un uomo dal pianerottolo della sua abitazione, ma non sentiva venir meno la sua furia. Colpa di quei due bastardi che l’avevano sbalzato mandando in brandelli la sua bellissima divisa. Ripensandoci meglio però, si disse che un minimo di riconoscenza per quei cazzilli, lo doveva pure avere. Questi gli avevano finalmente aperto gli occhi sulla schifosa tresca! Quella furia era dunque dovuta alla dolorosa e quanto mai opportuna presa di coscienza. Perché tutto di un botto, si sentiva precipitato negli anni in cui era stato il più classico dei soggetti. Un fesso senza divisa, che tutti potevano pigliare per il culo. Stringeva il nodo della cravatta della seconda divisa della sua dotazione (cinque in tutto stando all’ultimo rigoroso inventario) quando decise che la punizione più severa dovesse scontarla Carmela. Già Carmela, di lei si sarebbe occupato al rientro. Adesso toccava ai cazzilli ai quali avrebbe comunque riservato, per riconoscenza, un trattamento di favore. Così prese le chiavi della macchina e dopo aver inavvertitamente calpestato nel cortile del palazzo, il corpo insanguinato del professore, andò verso i cazzilli come Terminator, verso Sarah Connor.

Cosa ci facevano tutti quei giovani in piazza? Un nuovo concerto per le vittime delle radiazioni? No, impossibile …non c’era traccia di nessun palco là intorno. Beh, per la verità qualcosa di curioso quei ragazzi lo avevano. Alcuni di questi, per la precisione quelli con alle spalle Piazza Trieste e Trento, portavano in braccio qualcosa di molto ingombrante. Qualcosa che agli occhi allucinati di Giggino roipnol poteva somigliare ad un cannone gigante, qualcosa che neppure lo sciamano più scafato ed arrapato avrebbe mai potuto arravogliare.

Il sindaco intanto, sempre più immerso nelle sue incomprese scartoffie, continuava a firmare. Certo i rumori ed il brusio della piazza non mancarono di attrarre la sua attenzione, ma concluse che doveva trattarsi degli operai addetti al restauro della facciata, che producevano rumori inconsueti, passeggiando operosi lungo le impalcature. Lavoravano a mezzanotte? Ma si, facevano gli straordinari! Michele Del Cuomo era proprio l’uomo giusto, al posto giusto.

“E’ isso! ‘O pazzo che spara e jastemma in mutande!” Fu così che verosimilmente gli arcangeli ritrovarono la fede e, mentre il resto del gruppo si sparpagliava cercando la migliore delle vie di fuga, loro, tenendosi per mano, lanciarono la nuova sfida all’orso impazzito. Dopo aver imboccato la strada del mercatino alle spalle di piazza Mancini, sbucarono sul Corso Umberto. Mezza recchia, sebbene fuori di sé dalla rabbia, non perse per un istante la loro traiettoria. Erano il suo obiettivo e non sarebbero valse a nulla le loro trovate da acrobati del circo. Li avrebbe acciuffati comunque! Imboccato lo stradone che conduce a piazza Nicola Amore, per evitare le macchine che restringevano la carreggiata, scelse il marciapiedi da poco rifatto, come pista dalla quale far decollare il suo inseguimento.

Troppo tardi! Le vetrine si stavano abbassando ed il bazooka scompariva alle loro spalle. Fu in quel momento di disperazione che pensò al secondo fusto di kerosene. Fino a prova contraria, nessuno poteva incolparlo di niente, nessuno era a conoscenza dell’accordo con Gregorio e soprattutto, sulla carta, la consegna era e restava responsabilità di altro vettore. “Un fusto di kerosene in cambio del bazooka della vetrina!”

“Vieni con il furgone nel vicolo delle puttane, intanto io ti armo il lanciarazzi!”

‘O professore volava dal quarto piano e non capiva cosa fosse quella sensazione di leggerezza che gli impediva di aver paura. Forse era il benessere che gli derivava dal bacio oppure il sollievo per l’attenuarsi del dolore degli incisivi. Lo schianto sulla pietra lavica del pavimento, gli tolse ogni dubbio. Mentre qualcuno lo calpestava come n indiano finito sotto gli zoccoli dei cavalli dei soldati blu, la sua vita se ne andava senza poesia,  in un rantolo.

Un folle che correva contromano sul marciapiedi del rettifilo. Damiano ed il suo “gemello” non riuscivano a credere ai loro occhi. Eppure non poteva essere altrimenti. Mise in moto ed avviò la sirena. “Sta rincorrendo quei tre ragazzi!” disse prima di partire. Poi con un risoluto gesto della mano fece capire al suo compagno di pattuglia che non era il caso di avvisare nessun altro. Quello, almeno per stanotte, era il suo territorio di caccia.

“Carmela!!” Lo vide sopraggiungere con la coda dell’occhio. I suoi erano gli occhi della furia. Non avrebbe creduto ad una sola parola. Lo conosceva bene Carmela. Se anche gli avesse raccontato per filo e per segno la sequenza dei fatti, Giovanni non le avrebbe creduto. Trattenne l’urlo di dolore per l’impatto maldestro dei suoi incisivi con quelli di quel imbecille del professore e, profittando delle attenzioni che Giovanni gli riservava, guadagnò furtiva la strada che dalle scale conduceva al soffitto. Giunta al termine della sua convulsa scalata, con sollievo verificò che le chiavi, erano dal lato giusto della porta di ferro. Quindi prima di mettersi al riparo, fu raggiunta da una vibrazione sorda proveniente dall’androne del cortile. Si affacciò dalla ringhiera e nella penombra di una serata quanto meno balorda, riconobbe la sagoma di un uomo che giaceva certamente cadavere, nel cortile del palazzo. Fu allora che senza più alcuna esitazione, aprì velocemente la porta di ferro che la separava dal terrazzo, richiudendola poi con tutte le mandate che la serratura le consentì. Come presagiva, Giovanni non aveva capito. Questo voleva dire che lei avrebbe trascorso su quel terrazzo, il resto dei giorni che il Signore le avrebbe concesso di vivere.

“Cazzo e carabinieri!”

Mezza recchia si destò di colpo. La sirena alle sue spalle lo aveva restituito alla vita nella quale, c’erano i turni di guardia, le passeggiate al supermercato con la sua Carmela e poi la pizza al Trianon… la sua vita, insomma. Tutto questo durò però solo un istante. Un istante nel quale si vide pure scaraventare il professore dal quarto piano… vestire la nuova divisa… correre in direzione dell’automobile… calpestare il corpo di qualcuno. ‘O professore era n’omm’e mmerda! Questo però non giustificava la sua reazione, né poteva spiegare la sua determinazione nell’inseguire quei ragazzini. E come spiegare il desiderio di infierire sul corpo della sua Carmela? Quel istante aveva aperto un varco nelle certezze costruite con tanta fatica negli anni. Doveva trovare una via di uscita e soprattutto una spiegazione a quel sentimento curioso ed inconsueto che aveva sentito nascere dentro di sé. Non poteva confessarlo apertamente. Specie se indossi una divisa. Eppure era come se in quel frangente, per la prima volta in vita sua, avesse avuto veramente paura. Una paura che risvegliava di colpo tutte le paure che si era risparmiato a suo tempo e che forse avrebbe dovuto vivere. Le paure di quando lo ricorrevano per bastonarlo, di quando gli spegnevano i mozziconi incandescenti sui palmi delle mani, di quando gli imponevano contro la sua volontà di partecipare ai loro giochi a sfondo sessuale, di quando gli chiudevano, fino a tranciarglielo di netto, il padiglione auricolare, nella morsa di Pasquale ‘o meccanico. Tutte quelle paure che aveva tenuto lontano dal nucleo, per restare aggrappato alla sua vita.

“Chi li ha chiamati a ‘sti carabinieri do cazzo? Perché mi rincorrono a sirene appicciate?…i carabinieri sono amici miei!” Concluse per allontanare vecchi fantasmi che li aveva avvisati Carmela e che tornato a casa, avrebbe di certo sistemato pure lei.

Era calato in questi pensieri, quando finì con l’intera autovettura nell’entrata del sottopassaggio che conduceva alla fermata della metropolitana dei “quattro palazzi”. Scomparve in un clangore di lamiere. Inghiottito come l’Enterprise dal solito buco nero e ‘stu cazzo!

“Frena!” urlò il gemello di Damiano, forse per la paura di essere risucchiato dallo stesso vuoto siderale che aveva inghiottito la vettura che stavano inseguendo. Damiano inchiodò inorridito. “Mo sarta tutto pe ll’aria!”disse per giustificare la paura che affiorava. Ernesto non prestò ascolto alle sue parole. Scese dalla macchina e corse deciso a prestare soccorso immediato allo sciagurato finito nel pozzo. Damiano restò invece senza parole, stupito e per certi versi ammirato del coraggio del suo collega. Lui non poteva saperlo ma Ernesto, era diventato carabiniere per questo. “Espiazione” era la parola chiave del suo mandato. L’adolescenza pesava come un macigno sulla sua coscienza. Un pungolo infaticabile che gli rendeva insopportabile l’esistenza. Così correva lungo le scale del sottopassaggio e piuttosto che rinsavire, continuava la sua personale discesa negli inferi. Doveva fare qualcosa di eroico. Sentiva le gambe andare da sole intanto che dentro gli scorrevano le solite immagini del passato. Stava davvero andando incontro agli ultimi istanti della sua vita? Tanto meglio, avrebbe finalmente potuto riscattare tutti i momenti di un’esistenza che egli avvertiva come scellerata ed indegna. Salvare qualcuno e poi morire, come un eroe, cosa poteva sognare di meglio per la sua coscienza? Il suo incedere si fece perciò sempre più deciso, sospinto, gioioso. Mai come in quei momenti si era sentito così adeguato. “Forse è così che si diventa finalmente uomini.” La macchina del kamikaze si era infilata nella vetrina del negozio di aeromodellismo situato nell’androne del sottopassaggio. Era avvolta nelle fiamme. Uno primo scoppio fece volare un po’ di detriti nella sua direzione. La puzza di kerosene che si era riversato dal fusto a seguito dell’impatto, non lasciava presagire nulla di buono. Neanche questo segnale lo fece però ritornare sui suoi passi. Così Ernesto, si mise alla ricerca di eventuali superstiti da mettere in salvo. Con suo enorme rammarico verificò che, automobile a parte, l’androne era completamente vuoto, come vuoti da anni ormai erano tutti i sottopassaggi della città. L’unico da salvare, a patto che fosse ancora vivo, era dunque il conducente della vettura. I vetri dei finestrini erano scoppiati e l’uomo al volante sembrava privo di conoscenza. Aprì lo sportello e mentre lo afferrava per estrarlo dall’abitacolo, fu folgorato dall’immagine di quel padiglione auricolare tranciato a metà. “Giovanni meza recchia!”.

Giunse al deposito dei furgoni con il cuore in festa ma senza farsi notare. Come un ninja addestrato per colpire nel buio, caricò l’incredibile  lanciarazzi nel cofano della sua autovettura. Le operazioni furono assai più semplici del previsto. I capannoni erano completamente vuoti. Passò dinnanzi al furgone del suo amico Gregorio e si sentì stringere il petto da un pungente ed inatteso senso di colpa. L’imbarazzo durò però, un solo istante. Poco dopo echeggiarono le sue risate gonfie di soddisfazione. Sì, tra mezz’ora avrebbe partecipato, a modo suo, ai festeggiamenti indetti per la notte del risveglio. Si apprestava a lanciare la più grande delle freselle mai tirate, dritte dritta sulla facciata appena rifatta, del palazzo del sindaco. “I fuochi d’artificio quest’anno li faccio con il bazooka!”

Come previsto dal piano, utilizzando le impalcature dell’impresa incaricata dei lavori di restauro, gli acrobati raggiunsero il balcone del sindaco, quello che dava sulla piazza. Portarono sullo stesso le corde che occorrevano per issare da terra quello che Giggino roipnòl aveva battezzato come ‘o spiniello cosmico. Quindi si affacciarono felici come trapezisti sulla platea, alla fine dell’ennesima, prodigiosa acrobazia. Il pubblico applaudì senza fare troppo clamore ma con evidente, crescente entusiasmo. Gli arcangeli salutarono ancora le migliaia di ragazzi che intanto, richiamati dallo stesso sotterraneo e contagioso tam tam, avevano invaso piazza del Plebiscito. Fecero segno a quelli sistemati proprio sotto al balcone di mettersi al riparo, mentre rimuovevano i lacci che tenevano il cannone arrotolato. Libero di girare intorno al proprio asse lo spinello si trasformò sotto gli occhi increduli ed un po’ amareggiati di Roipnòl, nell’enorme striscione che era sempre stato. Seguirono ancora applausi e poi urla di gioia tra fischi di approvazione. Espressioni di un entusiasmo ormai incontenibile. Sul telo, visibile ad ogni lato della piazza, il disegno di un albero. Il più classico ed essenziale degli alberi tracciato, con ogni evidenza, da una mano infantile. Un albero dal fusto altissimo e con la chioma costituita da migliaia di foglioline verdi su rami  minuti come stecchi di ghiaccioli. Tutt’intorno passerotti con le ali piccole ed il corpo grassoccio. Più in basso insetti panciuti come maiali posati su fiori dai colori fosforescenti. In alto, nel mezzo di un cielo celeste come solo nei disegni dei bambini lo puoi trovare, un sole dal perimetro incerto e dai raggi rettilinei. Ridevano di gioia i due acrobati, sebbene continuassero a perder sangue dalle innumerevoli ferite di quella incredibile serata. Quindi volgendo le spalle alla piazza che intanto continuava a godersi lo spettacolo dello striscione e a partecipare attivamente al completamento degli allestimenti, cominciarono a lavorare con un palo di ferro, sulla finestra della sala del Sindaco. Non dovettero insistere più di tanto. Trovarono il varco giusto per imporre la leva decisiva. Quando fecero irruzione nella stanza del Sindaco, sentirono di essere giunti al culmine del loro sodalizio, della loro incredibile storia d’amore. Michele, il sindaco, ebbe un sussulto mentre il faro posto all’altro capo della piazza gli inondò il volto. “Nuje simmo gli arcangeli Raffaele e Gabriele in rappresentanza della banda degli “Avimm’arrevutà”! Dichiariamo lo stato di occupazione permanente del palazzo, della piazza e dell’intero perimetro della città. Napoli è nostra!” quindi si scambiarono il più intenso, appassionato ed avventuroso dei baci.

Le fiamme sempre più minacciose, venivano risucchiate lungo le scale rendendole praticamente inaccessibili. Una ad una tutte le bombolette spray del negozio di aeromodellismo scoppiavano in batteria come trick track nella notte di capodanno. Ernesto però non faceva una piega. Quello che aveva di fronte, stordito ma ancora vivo, era il corpo di mezza recchia. L’uomo dell’enterprise era dunque quello che nella sua vita precedente, era stata la sua vittima preferita. La temperatura era divenuta insopportabile e l’aria si faceva irrespirabile. “Oh Signore tu sei grande e misericordioso!” Una nuova esplosione dall’altro lato dell’abitacolo fece intanto destare Mezza recchia.

Non c’erano dubbi. Uno dei tre ragazzi, per la precisione quello che correva in direzione della sua volante era proprio lui, suo figlio, Gegè!  “Papà abbiamo bisogno di te” Gegè raccontò a Damiano tutto quello che era accaduto da quando era sceso di casa. Gli disse della banda, gli illustrò per filo e per segno, ogni singolo dettaglio di quel che ancora doveva accadere. Senza perdere la calma, consapevole che con suo padre dovesse essere il più possibile preciso e perentorio. Niente astrazioni, solo elementi concreti. Damiano era un carabiniere, bisognava dargli comandi e non avrebbe esitato ad obbedire. “Stamm’a sentì! Tu ci devi portare a Piazza del Plebiscito!” Damiano non reagì. Obbedire alle richieste di suo figlio, significava agire contro le indicazioni del regolamento. Contro i principi sui quali aveva giurato ed investito tutta la sua vita. Pochi metri più in la c’era stato un incidente probabilmente mortale. Come dalla bocca di un drago, fiamme uscivano dal cunicolo nel quale si era ficcato il suo compagno di pattuglia. Infine, come se non bastasse, dalla radio giungevano pressanti richieste di una volante in via Cesare Rosaroll: si trattava del cadavere di un uomo, probabilmente precipitato per cause da accertarsi.

“Nun da rett’a sti strunzate papà, currimme!”

Quando gli acrobati e Gegè fecero irruzione in piazza accompagnati niente di meno che dalla volante dei carabinieri, fu evidente a tutti che la rivoluzione in atto avrebbe colto nel segno.

Mezza recchia si destò convinto di trovarsi all’inferno. Aveva la testa che gli batteva come i rullanti del batterista dei Suspiria e la vista che andava e veniva ad intermittenza. Ogni volta che vedeva chiaro, si ritrovava immerso nelle fiamme, con di fronte l’immagine di Ernesto cap’e vacca che indossava la divisa della Benemerita. Cap’e vacca era stato, senz’ombra di dubbio, il più cinico e perverso dei suoi seviziatori. Lui, era cattivo dentro. Ogni volta che lo obbligava a sottostare ai suoi vizi, avvertiva una vibrazione maligna nel suo sguardo. Gli altri giocavano pesante, lui picchiava sul serio. Non a caso era stata sua l’idea di utilizzare la morsa del loro comune amico Pasquale ‘o meccanico, per torturagli l’orecchio e sempre sua era stata l’iniziativa di raccontare a quelli del Pronto Soccorso, che la mutilazione era stata provocata da un fulmine. Stavolta però non gliel’avrebbe consentito di infierire sul suo corpo. Se davvero si trovavano all’inferno, toccava a lui essere il più cattivo di tutti. Così, per la seconda volta nella stessa serata, si rimise in piedi e cominciò a mulinare calci e pugni all’indirizzo di quell’apparizione demoniaca. Ancora un’esplosione, stavolta coincidente con l’impatto del suo gancio destro sulla spalla di Ernesto. Questi, colpito così violentemente, si destò dalla catalessi nella quale era precipitato e cominciò a sua volta a vorticare braccia e gambe all’indirizzo di mezza recchia. Scintille ed effetti sonori col dolby surround non facevano difetto, mancavano solo un po’ di raggi laser e capriole metalliche per far apparire quelle sequenze, tratte direttamente dalla saga dei Transformers. Ogni strattone veniva amplificato dal contesto, tanto da renderlo decisamente irreale. Nella mente di entrambi si affacciò l’idea che non ne sarebbero comunque usciti vivi e che il sopraggiungere di un’esplosione più violenta, prima ancora che sbalzarli, sventrarli, squarciarli, li avrebbe finalmente “sollevati”, non so se capite.

E così fu. Il caldo delle lamiere fece esplodere in un boato infernale il fusto di kerosene che qualcuno aveva inavvertitamente abbandonato davanti alla serranda abbassata del negozio. Fu allora che i due, ridotti in brandelli sanguinolenti, tornarono definitivamente umani, cessando loro malgrado, di somigliare ai personaggi dei cartoni animati.

Lavoravano duro quelli della ditta. Dovevano essere pure assai vicino alla sua finestra, perché proprio da quella direzione, arrivavano adesso i rumori più forti. Sembrava quasi che volessero sfondare tutto ed entrare, tanto violento si era fatto il loro martellare sugli infissi esterni. Poi di colpo, il potente fascio di luce bianca del faro posto all’altro capo della piazza, squarciò i battenti della finestra e gli illuminò il volto, facendolo apparire come in una rappresentazione sacra. “Ma questi della ditta sono pittori o elettricisti?” La risposta non tardò ad arrivare e fu davvero stupefacente. “Nuje simmo gli arcangeli Raffaele e Gabriele in rappresentanza della banda degli “Avimm’arrevutà”! Dichiariamo lo stato di occupazione permanente del palazzo, della piazza e dell’intero perimetro della città. Napoli è nostra!” Dunque quelli erano gli arcangeli Raffaele e Gabriele, venuti ad annunciare a lui, a Michele il terzo degli arcangeli, l’imminente destino della città. Qualcosa non quadrava nella sua testa. Il racconto che la nonna, fervente ed acculturata cattolica le aveva fatto di quelle figure, era assai più articolato e confuso nelle sua mente istituzionale. Ci dovevano essere secondo la tradizione ben sette arcangeli, o li confondeva con i nani della famosa favola? “Il Signore creò queste figure con la missione di proteggerci ed aiutarci a compiere le Sue volontà. È per difenderci dai continui attacchi del maligno, che ho voluto tu avessi il nome che porti” In qualche modo dunque l’apparizione di quei due individui segnava il compimento di una profezia. Per questo si sentì al riparo dai sentimenti di paura che naturalmente trovavano dimora nel suo piccolo cuore. Erano ambasciatori di un messaggio che in qualche modo già doveva essere contemplato nel suo destino. Lui era Michele, il terzo arcangelo della città. Così si levò in piedi, e superato l’ingombro della scrivania, prese a sfilare all’interno del fascio di luce in direzione dei suoi fratelli di missione. Il suo era il destino di quegli uomini grandiosi che cambiano il corso della storia. Un prescelto, l’eroe che tutti aspettavano ed acclamavano. Raffaele e Gabriele uniti in un bacio di iniziazione che cementava in modo solenne il loro sodalizio, lo affiancarono e con lui proseguirono fino a raggiungere il balcone.

La piazza ebbe un sussulto a quell’apparizione. Un sussulto che divenne dapprima scroscio festoso di applausi e quindi un urlo di orrore. La sagoma di Michele Del Cuomo, simile nei contorni e nella traiettoria a quella descritta dai tuffatori di Acapulco, volava in direzione del basolato in pietra lavica della piazza. Perdita di equilibrio conseguente alla terribile esplosione di una granata sulla facciata del palazzo? Deliberata volontà del sindaco o peggio, spinta assassina degli arcangeli? Questo non fu mai possibile stabilirlo. Il piano di quei ragazzi d’altronde, non prevedeva un epilogo così tragico e spettacolare. Certo fu che Michele Del Cuomo, prima di schiantarsi rovinosamente al suolo, aveva davvero dato l’impressione di poter volare. Era rimasto sospeso nell’aria ferma come un gabbiano del vicino porto di Mergellina. Come pure certo fu che, mentre la folla tratteneva il respiro, nel fragore delle impalcature metalliche, delle macerie e dei calcinacci, un attimo prima dello schianto, in tutta la piazza echeggiò il suo urlo sovrumano: “…A FACCCIAAAA DOOO CAZZOOOOO!”

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** Daniele Bigliardo, talentuoso fumettista della Bonelli Editore. Disegnatore di Dylan Dog e Art Director della serie dedicata al Commissario Ricciardi

* Francesco Aliperti Bigliardo (FAB) napoletano, classe 1967, scrittore per passione e metalmeccanico presso lo stabilimento Avio Aero (ex Alfa Romeo Avio) di Pomigliano D’Arco per necessità “perché non si vive di sole parole…” afferma.

Ha pubblicato nel 2009 per Edizioni Mayhem “La grande combustione” una commedia in due atti di ispirazione ambientalista andata in scena al teatro Gloria di Pomigliano d’Arco nel dicembre del 2014.

Altre pubblicazioni minori sono contenute nell’antologia “Assurdotempo e l’esatta logica” di Edizione Corsare e nella raccolta del 2012 per nuovi autori campani di Caracò Editore “Terra mia”.

Prossima uscita a settembre 2020 “Lo strano caso di Domenico Cuomo e del casale 116430623 10221596840862703 6136263620435959378 o LA NOTTE DEL RISVEGLIO (ultima puntata)Sgambizzo”

Breve sinossi

Domenico Cuomo, meglio conosciuto come padre Robin, è un parroco della periferia partenopea che, come il leggendario arciere a cui si ispira, ha deciso di votare la propria esistenza alla protezione dei più deboli. Molto amato dalla comunità parrocchiale, è invece assai temuto dai suoi superiori e dalle istituzioni, che vedono in lui un elemento scomodo. Ma padre Robin va dritto per la sua strada, perché ha un obiettivo ben preciso: recuperare il casale Sgambizzo, antica residenza nobiliare abbandonata, e farne un centro di formazione per quei giovani che vivono tra disagio e criminalità. Quando i permessi tardano ad arrivare, a padre Robin non resta che affrontare di petto la questione.