“L’UOMO DELLA PIOGGIA”: IL DRAMMA GIUDIZIARIO DI FRANCIS FORD COPPOLA

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di Mariantonietta Losanno

“L’uomo della pioggia”, pellicola del 1997 di Francis Ford Coppola, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Josh Grisham (“The Rainmaker”), racconta la sfida di Rudy Baylor (Matt Damon), fresco di laurea in giurisprudenza, contro una delle più grandi società d’assicurazione, affiancato da un paralegale d’eccellenza (che non ha mai superato I’esame di ammissione) interpretato da Danny De Vito. I due, insieme, cercheranno di rendere giustizia ad una famiglia il cui giovane figlio malato di leucemia è morto a causa di mancanza di cure perché l’assicurazione non ha corrisposto il premio dovuto. Dovranno vedersela con una schiera di avvocati spietati e scontrarsi con un sistema che favorisce i ricchi e i potenti: Coppola dipinge un quadro del tutto realistico e assai allarmante della situazione sanitaria e giudiziaria americana.

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Francis Ford Coppola mette in scena una serie di soprusi: la violenza alla quale assistiamo ha varie forme, espressioni di diverse manifestazioni di altrettante differenti forme di prevaricazione. È tutto uno scontro tra Poteri forti e Poteri deboli: c’è il Potere che si esprime attraverso la violenza fisica, quello, invece, messo in atto con un cinismo sadico, con i soldi, con la corruzione. Coppola ci guida all’interno della realtà dei tribunali, fra accordi con giudici, illegalità e – qualche volta – giustizie, mettendo in risalto il contesto che circonda determinate vicende. “L’uomo della pioggia” non cede agli stereotipi delle pellicole del genere o all’eccessivo buonismo, scegliendo di aderire il più possibile ad un realismo riscontrabile nel quotidiano: non ci sono complotti eccezionali né macchinazioni diaboliche, ci sono solo situazioni drammatiche che – purtroppo – sono sempre attuali. Umanizzando la figura dell’avvocato Rudy Baylor il pubblico si affeziona e partecipa attivamente alle prove che deve superare con i poveri mezzi a disposizione per riuscire a farcela. 

%name “L’UOMO DELLA PIOGGIA”: IL DRAMMA GIUDIZIARIO DI FRANCIS FORD COPPOLAPer certi versi, la determinazione di Baylor e l’ingenua convinzione di potercela fare facendo fede solo sui proprio studi e sui principi della legalità viene apprezzata, perché espressione di un’onestà atipica al giorno d’oggi. A conferma di questo, proprio in questi giorni è avvenuto a Napoli l’ennesimo caso di violenza (in questo caso, espressa in un’azione razzista) nell’ambiente giudiziario: all’inizio della trattazione di una causa al tribunale per minorenni, un giudice onorario ha chiesto a un avvocato nero di esibire il suo tesserino, perché non credeva che avesse la laurea. Hilarry Seddu, avvocato italiano di origine nigeriana, consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, ha commentato l’episodio decidendo di non parlare di razzismo ma di inadeguatezza, considerando che ci si riferisce ad una figura incaricata di esprimere un giudizio sulla vita di altre persone. Una reazione fin troppo razionale ed educata, assolutamente non dettata dall’istinto. Ed è per questo (e per tutti gli altri casi di violenza) che la pellicola di Coppola si presenta come un’opera necessaria. Un valore aggiunto, poi, è dato dal fatto che il personaggio di Rudy Baylor sia un giovane appena laureato alla sua prima esperienza in tribunale: non si verificano, oggi, episodi in cui si offende la professionalità di una persona solo per l’età? Anche questi sono espressioni di violenza, per cui vale sempre la pena lottare e far sentire la propria voce, ma senza dover urlare: “Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza”, ha scritto Oriana Fallaci.