L’ESTINZIONE DI UN POPOLO

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   –   di Vincenzo D’Anna*   –                                                          

Margaret Thatcher, ex primo ministro britannico, riteneva che il buon governo del popolo, consistesse anche in una serie di regole che occorreva far rispettare, come quella di non consentire che tutto si svolgesse a spese dello Stato. Occorreva creare, secondo lei, un sistema che allontanasse la demagogia delle promesse diseducative, così che nessuno potesse supporre che lo Stato fosse in grado di provvedere a garantire ai giovani agi e sicurezza, disabituandoli ad agire in autonomia e con senso di responsabilità. Dal numero 10 di Downing Street, la Thatcher non solo mise in ordine i conti pubblici, ma risollevò anche il prestigio e l’autorevolezza del governo di sua Maestà, rinnovando il valore dei principi della pubblica istruzione e quelli educativi di un intero popolo. Risultati straordinari, quelli della ex Lady di ferro. Battaglie che, dalle nostre parti, anche una come lei probabilmente avrebbe perso. È successo, ad esempio, a Matteo Renzi. Solo per essersi azzardato a dare un indirizzo di vera riforma alla scuola basata su di un minimo recupero dell’istruzione in luogo dell’accoglienza e della mediocrità intesa come momento di equiparazione sociale, l’ex rottamatore fu defenestrato. Ricordate? Quando sedeva a palazzo Chigi, spuntarono, come funghi, un po’ ovunque, comitati di insegnanti impegnati strenuamente a far sì che l’esito del referendum renziano fosse bocciato. In seguito la logica politica di Pd e M5S ha consentito la ripresa dei vecchi schemi con una sanatoria generalizzata e finanche l’assunzione degli aspiranti prof bocciati al concorsone, per un movimento di titolari di cattedre di ben oltre 100mila unità. Insomma: l’apoteosi del concetto di scuola stipendificio ed ammortizzatore sociale. Tutta la società italiana uscita da quel tipo di istituzione didattica, vive oggi un relativismo etico che va ben oltre l’induzione dei bisogni, portato naturale della società opulenta: sarà difficile recuperare la linea etica originaria. A questo quadro ci sarebbero da aggiungere, a complemento, anche altri fattori decisivi: la televisione che diventa una cattiva maestra ed inculca banalità e violenza; i social come luogo del qualunquismo; la famiglia travolta dai divorzi lampo e minacciata dalla teoria gender; la religione che si secolarizza ed esaurisce la propria dottrina nella cura dei poveri. In questo scenario di mero decantentismo, il cammino dei singoli individui, peraltro intruppati e massificati dalle mode e dagli anzidetti limiti, si fa incerto e permissivo. La libertà non diventa il mezzo per la conquista e la difesa della propria autonomia e della facoltà di rivendicare diritti civici in seno alla collettività, ma lo strumento per forzare ogni regola di buon senso e di coerenza. Se non nascerà una stagione nella quale gli italiani acquisiranno il senso delle regole e dell’etica pubblica, il valore della morale e di una scala di valori personali, non ci sarà rimedio al declino del Paese. Che il progresso, la tecnologia ci possano esimere dal coltivare valori esistenziali è una congettura effimera che porta verso forme sociali inconsuete e pertanto ignote. Siamo uno Stato in cui ogni anno il numero dei morti sopravanza quello dei nati e la cui popolazione è composta in prevalenza da anziani (un terzo del bilancio statale viene speso in pensioni), senza più mano d’opera e ricambi nelle arti e nei mestieri tradizionali. Oltre un terzo delle nascite avviene per procreazione medica assistita; la fertilità è ormai ai minimi termini per i danni derivanti dall’inquinamento ambientale, dalle coltivazioni intensive e dal carico di tossine e nano particelle (metalli pesanti) che questi prodotti conservano. Una nuova branca della Biologia, l’Epigenetica, ci dimostra quali e quante modificazioni determinino sul corredo genetico umano quelle sostanze sparse ovunque. Insomma, nel mentre ci occupiamo, giustamente, della biodiversità di flora e fauna, è il genere umano a rischiare mutazioni che ne impediscano la riproduzione. Tuttavia l’eccellentissimo tribunale amministrativo del Lazio ha respinto ogni eccezione circa l’uso della cosiddetta pillola del giorno dopo, in versione farmacologica aggiornata. Le minorenni potranno continuare ad acquistarla ed usarla entro cinque giorni dal coito sessuale. La tesi è che la nuova pillola non provoca aborto, come la vecchia famigerata RU486, ma solo il blocco dell’ovulazione, impedendo così il concepimento. Non entro nel merito della vicenda etica. Mi limito solo a ragionare quanto sia opportuno distribuire, senza prescrizione medica, in farmacia, un “prodotto” che limiti ulteriormente le nascite. Una società sempre più ignorante e priva di orientamenti etici potrà vivere meglio, non certo più a lungo come specie.

* già parlamentare