“IN THE MOOD FOR LOVE”: LA COMPLESSITÀ DI UN AMORE MAI NATO MA MAI PERDUTO

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di Mariantonietta Losanno 

La sensibilità di Wong Kar-wai di analizzare la solitudine rimanda – inevitabilmente – alla cifra autoriale di Michelangelo Antonioni. Una somiglianza che si può notare in opere (poetiche) come “La notte”, “L’avventura”, “Deserto rosso”, capaci di raccontare le dinamiche di crisi e di porre al centro della narrazione personaggi inseriti in un contesto di estraneità rispetto al mondo che li circonda – persino rispetto a loro stessi – perché protagonisti di un cambiamento più grande di loro, o perché soggetti ad una vulnerabilità interiore. Se, però, i protagonisti dei suoi “affreschi” non riescono a comprendere le radici della loro angoscia, Antonioni sa come descriverla, come sviscerarla, come andare realmente a fondo. Wong Kar-wai – nonostante sia caratterizzato da uno stile nettamente differente – possiede quella stessa capacità di trasmettere la profonda (ed irreversibile) solitudine umana. E sceglie di farlo con eleganza, sensualità, disperazione. 

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Quella di “In the Mood of Love” non è una relazione “comune”, ed è il titolo stesso a suggerire – e ad incoraggiare – un’immedesimazione: bisogna essere in quel “mood”, in quel preciso stato d’animo (cioè quello che si prova quando ci si innamora di qualcuno) per poter comprendere le frasi non dette, i silenzi, i sentimenti implosi e la complessità di un amore “soffocato”.

Mr Chow e Mrs Chan, con i loro rispettivi coniugi, si ritrovano ad essere vicini di casa. Il marito di lei è sempre fuori per lavoro e la moglie di lui rientra sempre tardi la sera; i due, allora, si ritrovano a trascorrere le loro giornate in solitudine, fino al momento in cui scoprono – per una coincidenza – che i loro partner li tradiscono. La rivelazione del tradimento porta ad un incontro/scontro tra le due solitudini: Mr Chow e Mrs Chan cominciano a frequentarsi, inizialmente con l’intento di ricostruire le cause dell’infedeltà dei loro coniugi, ma, in realtà, per arrivare poi a ricomporre loro stessi – pezzo per pezzo – creando un legame profondo basato su un’autenticità di sentimenti. Irrompe improvvisamente un amore, che si presenta (forse) come una semplice illusione concepita per evadere da quella dimensione che spesso ci si trova ad essere condannati a vivere. Un amore che non combatte la solitudine ma – paradossalmente – la esalta: la solitudine, infatti, non è solo un elemento del film, ma è parte integrante; è il sentimento che muove la macchina da presa e che, dettando le azioni dei personaggi, parla attraverso di loro. Tutto ciò che vediamo sono parole, sguardi, libri, suoni. Wong Kar-wai delinea l’estetica della solitudine raccontando come l’incontro tra due anime perse possa essere un modo per ritrovare la propria reale individualità. “In the Mood of Love” non è la prima pellicola in cui il regista si confronta con la complessità dell’amore: si era già cimentato in “Hong Kong Express”, “Angeli perduti”, “Happy together”, soffermandosi sulla disperazione scaturita da un sentimento non corrisposto, o da un rimpianto di aver incontrato la persona giusta al momento sbagliato. I personaggi di Wong Kar-wai si rifugiano, allora, nei ricordi, o nel desiderio di intimità persino nei confronti di uno sconosciuto per strada. 

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Mr Chow e Mrs Chan somigliano a Yair e Myriam, i due protagonisti del romanzo “Che tu sia per me il coltello” di David Grossman. Due personaggi molto diversi, spesso in contrasto l’uno con l’altro e sentimentalmente già impegnati. Due personaggi che vivono un amore epistolare che, per quanto contrastato da ambiguità e incomprensioni, diventa lentamente un’assuefazione irrinunciabile. “Che tu sia per me il coltello”, ovvero “che tu sia per me il dolore più profondo e l’amore più vero”: i due, pur non conoscendosi, parlano una lingua comune ed è proprio attraverso le parole (taglienti ed impietose) che riescono a costruire un legame – agli occhi degli altri invisibile ma per loro indistruttibile – che li connette e li “salva”. Così come Mr Chow e Mrs Chan, Yair e Myriam si offrono l’uno all’altro in una dimensione fatta di immaginazione e parole, lontana dalla concretezza della vita quotidiana. E hanno il coraggio di osare, di svelarsi, di scoprirsi, pur non conoscendosi. E se ci si può amare senza conoscere neppure il nome, come ci aveva insegnato Bertolucci in “Ultimo tango a Parigi”, lo si può fare anche attraverso l’esplorazione di sensazioni, di sfumature, di parole, di emozioni mai indagate prima. Prima con la mente e poi con il corpo. Tra Yair e Myriam, grazie ad un linguaggio raffinato e una scrittura magnetica, nasce un sentimento che porta a una ridefinizione di sé; tra Mr Chow e Mrs Chan, entrando “nello stato d’animo per l’amore”, prende vita un amore che non si concretizza mai, ma resta un sentimento che cambia le vite. 

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Wong Kar-wai ci trasporta con la suggestività del suo valzer giapponese in un universo di stupore e passione; Mr Chow e Mrs Chan si sfiorano per poi perdersi, si concedono la possibilità di provare una complicità assoluta – senza mai diventare amanti – e un desiderio esplosivo. È una libertà che può concedersi solo il cinema – o un’altra forma di arte – quella di raccontare un sentimento che sublima la consumazione dell’atto sessuale. I due protagonisti si voltano inconsapevolmente all’unisono e finiscono per guardarsi attraverso. “Certe cose succedono così”, si dicono quando ammettono – finalmente – di essersi innamorati e si dichiarano il loro proposito d’amore. “In the Mood of Love” – ambientato nella Hong Kong dei primi anni ‘60 – ci rivela di cosa sono fatti l’amore e il cinema. Non è un film sull’amore, ma sullo stato d’animo, sulla percezione di sé in funzione di un altro. Quello che resta non è un sentimento perduto, ma vissuto/attraversato: un amore che rischia di diventare reale solo “fuori dal tempo”, un amore vissuto in “camere separate”. Non è una storia sull’infedeltà (nonostante racconti un amore costantemente diviso tra sentimenti autentici e apparenze da tenere in salvo), ma sull’amore più puro e incontaminato che ci sia.