“L’ULTIMA LETTERA D’AMORE”: “NEL CUORE SÌ, NELLA VITA NO”

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di Mariantonietta Losanno

In “Cento poesie d’amore a Ladyhawke”, Michele Mari metteva in versi quel “proposito d’amare” (tanto caro a Giorgio Gaber), raccontando un sentimento carico di incompatibilità connaturate nel rapporto stesso, le quali, però, non attenuano il bisogno di cercarsi. Dare voce all’amore attraverso le poesie (o le lettere): l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Jojo Moyes è la storia di un amore struggente e romantico – che non eccede necessariamente nella convenzionalità o nella morbosità – da cui scaturiscono “altri amori”. La storia si sviluppa su più piani temporali: al centro della vicenda ci sono Jennifer e Anthony che si innamorano, verso la metà degli anni ‘60, ma che vivono una relazione clandestina. Lei moglie di un ricco industriale, lui giornalista finanziario: il loro amore si nutre di lettere d’amore, incontri proibiti, frustrazioni tipiche di un rapporto reale ma al tempo stesso irrealizzabile. Le loro missive arrivano – facendo un salto fino ai giorni nostri – alla giornalista Ellie, così come arrivavano nelle bottiglie quelle di Kevin Costner ne “Le parole che non ti ho detto”: lei, cinica e disillusa a causa di una relazione finita male, si lascia letteralmente contagiare da quel “romanticismo di altri tempi”. Inizia, allora, ad appassionarsi al punto da voler ricostruire la vicenda, aiutata da un archivista serio e scrupoloso, a cui – irrimediabilmente – si affezionerà. 

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Tante storie e tanti amori che si incastrano, così come le tante vite che si vivono: “L’ultima lettera d’amore” è il tentativo (riuscito) di parlare di romanticismo senza eccedere. È l’amore il vero motore di questo dramma; anzi, sono “più amori”. Il fatto che si utilizzi l’escamotage delle lettere d’amore perdute potrebbe (forse) apparire una trovata eccessivamente sentimentale, ma la naturalezza con la quale questo espediente narrativo viene messo in atto rende la narrazione romantica ma mai sdolcinata. Quello tra Jennifer e Anthony è un sentimento che – paradossalmente – non ha nulla di “clandestino”: la loro corrispondenza, così come la loro relazione, è basata sul rispetto e sulla stima, oltre che su un sentimento capace di sfidare tempo e spazio. Soprattutto, il loro amore è scevro da ogni forma di egoismo: Anthony vorrebbe che Jennifer lasciasse la sua famiglia non per trarne un “vantaggio personale” o per il bisogno di appagare un desiderio “temporaneo”. Anthony la incoraggia a rispetta se stessa, prima ancora del loro amore; le consiglia di porre fine ad una “menzogna”, non ad un matrimonio felice. Le suggerisce di lasciarsi andare ad un “amore vero, reale e infinito” e a non accontentarsi di “fare la cosa giusta” seguendo le regole di un’epoca che vede una donna “meno donna” perché lascia suo marito. Non che “le regole” cambino in base alle epoche, né tantomeno le conseguenze delle decisioni sentimentali: “L’ultima lettera d’amore” non suggerisce un’idea di “clandestinità”, quanto piuttosto di una difficoltà (o una paura) di amare “come si vorrebbe” e non “come si dovrebbe”. Quello tra Jennifer e Anthony è un sentimento che non può smettere di esistere e che non si cancella nemmeno se ci si prova (non con la stessa intenzione di “Eternal sunshine of the spotless mind”, ma con le stesse conseguenze); è un sentimento che – nonostante ci si ribelli – va vissuto e va vissuto a pieno, perché “non sarà mai appagato se l’uno avrà una sola parte dell’altro”. 

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L’intensità del sentimento tra Jennifer e Anthony contagia anche Ellie, anche lei costretta a fare i conti con le sue scelte sentimentali e alla ricerca della propria identità; si sviluppano, allora, due percorsi di formazione differenti che portano all’acquisizione di diverse consapevolezze. E nonostante le loro diversità, saranno proprio le scelte di Jennifer ad influenzare quelle di Ellie e ad aiutarla a lasciarsi andare ai sentimenti. Ritorna, allora, la stessa domanda: si eccede nel romanticismo? Più che rispondere in modo netto, bisognerebbe concentrarsi sul fatto che sembra che il romanticismo sia “passato di moda” e che sembra che non ci si debba più emozionare. È più probabile, allora, che non si sappia proprio più come emozionarsi, come lasciarsi andare all’amore e come accettare i sentimenti senza “giudicarli”.