“UNA NUOVA AMICA”: IL CINEMA DI FRANÇOIS OZON È RICONOSCIBILE IN OGNI “ABITO”

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di Mariantonietta Losanno

Al centro della pellicola di François Ozon c’è, prima di tutto, un’amicizia. Almeno apparentemente. Claire e Laura hanno trascorso insieme le scuole elementari – facendo persino un patto di sangue e incidendo i loro nomi su un albero – e sono state unite anche durante la malattia di Laura: dopo la sua morte prematura, Claire cercherà di stare vicino a suo marito David e alla loro figlia Lucie. 

Il 13 maggio 1871 Arthur Rimbaud scrive una lettera a Georges Izambard, suo professore al collège di Charleville: “Je est un Autre”. “Io è un Altro”: non esisto se non nell’“innalzamento di me”. È la soggettività in quanto tale ad essere messa in questione – se non addirittura negata – perché, in fondo, dire “Io è un Altro” significa ammettere che l’Io “non è padrone in casa propria” (per dirla con Freud), che ogni individualità è, in realtà, abitata da un’alterità, da un Altro che la perturba e la frammenta. Questa idea (rivoluzionaria) di decentramento – più che di smarrimento – è fondamentale nell’opera di Ozon: partendo da un (morboso) racconto di formazione, si sposta, poi, verso un concetto più ampio di individualità, di sogno, di desiderio. 

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David “veste i panni” di una donna: parla come una donna (cercando di utilizzare le frasi stereotipate come “Non correre, ho i tacchi”, o “Non posso, devo depilarmi le gambe”), si comporta come una donna, si sente una donna. Ozon non chiarisce il motivo, semplicemente perché non è necessario – neppure – ai fini della narrazione: fa sì che sia lo spettatore a ragionarci autonomamente. Potrebbe farlo per affrontare il lutto, per calmare il pianto della bambina o perché semplicemente quell’“Altro” al fuori di sé è reale, evidente e – soprattutto – affascinante. Quando David si trasforma in Virginia, Claire viene sedotta: nasce un desiderio. Ma è un desiderio di scoprirsi “svestendosi” dal dolore e dai sensi di colpa, di comprendere da cosa – e da chi – è attratta, di stare al gioco permettendo al suo “sé” di slittare verso un “Altro”. Il punto di forza della pellicola è proprio la rivendicazione del suo “diritto di esistere”: c’è un tangibile bisogno di manifestarsi, di sentirsi, di realizzarsi. Claire e Virginia (ri)tornano alla vita: “Una nuova amica” è un “gioco” di specchi, in cui non è necessario che ci si definisca, aderendo ad un’etichetta. 

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Quello di Ozon è un cinema che si “riscrive”, ma che si riconosce in ogni “abito”. È sempre evidente la sua cifra autoriale: la sua filmografia è caratterizzata dai temi della trasgressione, della metamorfosi identitaria, del sogno, dell’erotismo. Ozon – attingendo da Hitchcock e da De Palma – “scava” nei suoi personaggi e porta allo scoperto la loro “verità”, intesa come principio di apertura, non come punto di arrivo.