LA DISABILITÀ NON È SINONIMO DI INCAPACITÀ:

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IL LINGUAGGIO DEL CUORE

luca disabile LA DISABILITÀ NON È SINONIMO DI INCAPACITÀ:
Foto web: Voglio prendere il treno.

Quando si parla di disabilità, la si concepisce in modo quasi sempre nefasto e con una connotazione di pietismo legata all’espressione negativa con cui quella persona disabile è associata alla sua condizione. Difficilmente si riesce a concepire una “persona disabile” come una “persona e basta”, portatrice di propri bisogni, dei propri sentimenti, dei propri sogni e di proprie aspettative perché la si vede solo come una persona limitata alla realizzazione dei propri obiettivi. È d’uopo fare una precisazione tra menomazione, disabilità e handicap: la menomazione è intesa come qualsiasi perdita o anomalia permanente a carico di una struttura anatomica, di una funzione psicologica o fisiologica. La disabilità invece è intesa come qualsiasi limitazione o perdita, conseguente a menomazione, della capacità di compiere un’attività di base come camminare, mangiare o lavorare invece per handicap si intende una condizione di svantaggio, conseguente ad una menomazione o ad una disabilità che limita il soggetto nell’adempimento di un ruolo sociale in relazione all’età e al contesto socio culturale in cui vive.

Soltanto con il passare degli anni, ci si è resi conto che questi termini non sono proprio appropriati e nel 2000 l’OMS, organizzazione mondiale della sanità, ha pubblicato la nuova classificazione internazionale delle menomazioni, delle attività personali e della partecipazione sociale, che hanno sostituito i tremini disabile, handicappato e menomato. Infatti nella nuova classificazione, il termine handicappato è stato definitivamente abbandonato e sostituito con altri termini come deficit o svantaggio: lo scopo è quello di proporre e descrivere lo stato di salute delle persone in relazione agli ambiti sociali in cui si rapportano che siano familiari o lavorativi, in modo tale da capire quali siano le difficoltà che possano poi causare le disabilità. La classificazione quindi si propone di non descrivere le persone in senso dispregiativo, ma le situazioni e i contesti. Pone l’accento sull’unicità e la globalità in cui le persone vivono la propria quotidianità e non sul fatto oggettivo della disabilità sotto il profilo fisico o mentale. Lo scopo ultimo è quello di concepire la persona nel modo più equo e rispettoso della propria peculiare disabilità perché un errore che facilmente si commette ancora oggi quando si incontra una persona portatore di handicap o in carrozzella, è soffermarsi sulla disabilità e quindi sulla carrozzella e non sulla persona dimenticando persino il  nome!

La disabilità non è una malattia ma è una condizione che può accompagnare la persona per tutto l’arco della propria vita oppure può essere anche limitata ad un periodo di tempo pertanto tutte le frasi di pietismo che possono provocare sofferenza all’ altrui persona, accompagnate da un linguaggio compassionevole e di pura accondiscendenza, vanno assolutamente vietate. La formula: “Ma che peccato che sei costretta/o a vivere sulla carrozzina dovrebbe essere sostituita con la frase: “Sai ammiro il tuo coraggio e la tua determinazione, complimenti per la persona bella che sei”, forse perché nessuno sa che quella carrozzina è l’unico mezzo che una persona disabile possiede per potersi spostare e condurre una vita alquanto normale!

Forse perché nessuno sa che il concetto di normalità pieno non esiste e questo non significa che bisogna vestirsi da falsi buonisti o eroi nel voler difendere chi non va difeso, perché non è in pericolo, ma va tutelato e protetto con educazione e rispetto contro chi, con mera arroganza e menefreghismo, tende a tenerli al margine della società e a rendere quindi invisibili perché fastidiosi.  Così come non bisogna modificare il proprio linguaggio per cercare di compiacere ad una persona disabile in quanto essa è in grado di capire ciò che si sta dicendo, persino un sordo riesce a leggere il labiale come un cieco riesce a comprendere ciò che intorno accade. Troppe volte la disabilità viene concepita come inabilità o incapacità e si cerca di utilizzare linguaggi inappropriati quando poi basterebbe semplicemente proporre una passeggiata anche ad una persona in carrozzella perché sarebbe in grado di godersi comunque la giornata come i normotipici, ad un sordo o cieco si può proporre una qualsiasi iniziativa purché vengano rispettati i loro tempi e le modalità di accesso ai luoghi.

E talvolta basterebbe veramente utilizzare l’empatia perché “mettersi nei panni dell’altro” significherebbe riuscire a provare le stesse sensazioni e le medesime emozioni, per evitare inutili e sgradevoli scivoloni.

6 Commenti

  1. Tutto vero quello che hai scritto questo articolo.
    Bisogna avere non solo la sensibilità adeguata ma mettersi nei panni dell’altro e chiedersi sempre: se fosse capitato a me?

  2. Queste persone nonostante tutto sono persone innanzitutto ecco. E quindi da tali, pur vivendo con i loro deficit capiscono tutto e vanno appunto tutelati. Sarebbe bello se ognuno di noi riuscisse ad immedesimarsi in loro, potremo capire come ci si sente quando si ha un deficit e non si viene tutelati dalla società, solo così li si può capire ed effettivamente accoglierli come ogni essere umano merita.
    Impeccabile come sempre Dottoressa Canzano, per la sua eccelsa preparazione.

  3. Carissima Maria Rosaria, leggo con piacere i tuoi articoli e ogni volta mi emoziono sempre di più. Noi che viviamo la disabilità esattamente con lo stesso cuore e con le stesse emozioni, parlando lo stesso linguaggio, mi ritrovo in ogni parola. Se tutti avessero la tua stessa sensibilità, saremo ad un ottimo livello! Grazie e un bacio a Laura da Flavia ❤️

  4. Ciao Collega che bello leggere la tua rubrica. Ormai ti seguo con passione e c’è tanto da imparare da una persona come te che con coraggio affronta le sue battaglie con la sua meravigliosa Laura. Hai scritto delle cose stupende mi sono emozionato. Sei preziosa

  5. Dottoressa carissima è sempre un piacere leggere quello che lei scrive. Anche io sono padre di un bambino autistico e quando leggo i suoi post sulla sua rubrica, che aspetto con ansia tutta la settimana, mi sento più rincuorato e meno solo in questa battaglia. Grazie per ciò che fa e per la bella bellissima persona che è

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