“DELLA  MUTEVOLEZZA DI TUTTE LE COSE E DELLA POSSIBILITÀ DI CAMBIARNE ALCUNE”: LA SOLITUDINE DEGLI “OSPITI”

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di Mariantonietta Losanno 

La terra e il corpo sono due concetti a cui Anna Marziano (classe 1982, diplomata in cinematografia presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma) tiene particolarmente. Due idee che approfondisce analizzandone i limiti, portandole all’estremo, ridisegnandole secondo coordinate mutevoli. «Se c’è qualcosa di sacro, il corpo umano è sacro», scriveva Walt Whitman; ed è questa sacralità il centro dell’attenzione della regista che, ne Della mutevolezza di tutte le cose e della possibilità di cambiarne alcune (prendiamoci il tempo necessario per soffermarsi su ogni parola nonostante la lunghezza) racconta le condizioni di vita degli abitanti – o “ospiti” – delle zone dell’Abruzzo colpite dal terremoto del 2009. Per queste persone il cambiamento è una scelta obbligata, data la necessità di ricostruzione. Devono riprendere forma gli spazi personali e collettivi: il corpo e la terra. Si devono (ri)tracciare i confini, prendere – di nuovo – confidenza con gli spazi, generare cose nuove. Le cose, appunto, le stesse di cui Anna Marziano parla nel titolo. Sono oggetti, pensieri, paure, dolori. «Quante cose, /atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi, /ci servono come taciti schiavi, /senza sguardo, stranamente segrete! /Dureranno piú in là del nostro oblio; /non sapran mai che ce ne siamo andati»: aggrappandoci alle parole di Borges possiamo comprendere il significato di tutte queste cose per cui tanto ci affanniamo. Le persone che ritrae la regista de Al largo e Al di là dell’uno, sembrano, però, affliggersi più per la ricostruzione che per il recupero. Vorrebbero le cose vecchie, non le nuove. Cose con cui hanno familiarità, che sentono vicine, di cui non hanno timore. Questa metamorfosi imposta rompe gli equilibri e i legami, facendo sentire così lontani luoghi tanto vicini. La metamorfosi, poi, non è un tema nuovo per la regista che, in Al largo affronta la trasformazione che subisce (di nuovo) il corpo quando metabolizza l’evento della malattia, partendo da un evento biografico. 

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Congiungersi o separarsi: Anna Marziano entra in relazione con i pensieri più intimi degli “ospiti” della terra, senza sconti, non fermandosi fino a che non ha portato a compimento la sua indagine. «È necessario dare visibilità a quello che sfugge dal nostro controllo e che si tende ad omettere: il nostro corpo, la malattia, la vecchiaia, le condizioni sociali e genetiche», ha detto la regista in un’intervista. Ed è così che, ne Della mutevolezza di tutte le cose e della possibilità di cambiarne alcune (disponibile su Mubi) si sofferma sulla (ri)composizione di pezzi, sull’accettazione di averne persi per sempre alcuni; sul riparare quello che può essere ancora ammendato, sul ricucire, reinventando nuove form proprio a partire dai “tagli”. Nel suo avvicinarsi all’altro la regista se ne prende cura, mostrando la volontà (analizzata anche in altri suoi prodotti) di analizzare il dolore e di riflettere sulla solidarietà, che non deve essere necessariamente espressione di un moralismo o di un altruismo ostentati. 

%name “DELLA  MUTEVOLEZZA DI TUTTE LE COSE E DELLA POSSIBILITÀ DI CAMBIARNE ALCUNE”: LA SOLITUDINE DEGLI “OSPITI”Se è vero che si deve ricostruire, in senso letterale e metaforico, si può anche decidere di farlo “in grande”, di porsi nuovi limiti. Di osservare gli spazi vuoti e coglierne un’ampiezza differente. Nonostante l’indagine “immersiva”, il documentario si svolge all’aperto. Se fosse un corpo, sarebbe il “corpo senza organi” di cui parlava Deleuze, ossia un campo di forze, piuttosto che un campo chiuso. Anna Marziano non si chiude in un solo ambiente, e si focalizza sull’organicità di fondo; sulla capacità, cioè, di legare il vivere e il fare film come se fosse un unico progetto unitario.