25 APRILE, SI COMMEMORA GRATIS

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   –   di Vincenzo D’Anna  –   

La ricorrenza del 25 aprile, giorno in cui, nel 1945, fu sancita la liberazione dell’Italia dal nazifascismo, ha sempre generato polemiche politiche. La querelle si rinnova puntualmente da decenni per le diverse opinioni di quanti celebrano quella storica data e coloro che non lo fanno. Questi ultimi, in genere, sono militanti di estrema destra, animati dal convincimento che tale commemorazione venga utilizzata come pretesto dai militanti di sinistra per rinfocolare un clima di acrimoniosa e faziosa discriminazione nei confronti di chi, ormai quasi ottant’anni fa, la pensò diversamente. Stiamo parlando di quegli uomini e di quelle donne che, nel momento dell’armistizio italiano (di fatto la resa agli alleati), ritennero giusto rimanere fedeli a Benito Mussolini, nel frattempo liberato dalla prigionia del Gran Sasso e trasferito al Nord Italia dove fondò la cosiddetta Repubblica di Salò. Fu quello l’estremo tentativo, da parte del capo del Fascismo, di salvare parte del proprio potere nonché di provare, in qualche modo, a proseguire con la scellerata scelta di combattere accanto alla Germania di Hitler. Quella deflagrata dopo l’8 settembre del 1943 fu dunque una guerra fratricida tra gli ultimi fedelissimi del Duce e quanti, nel frattempo, avevano dato vita alle varie brigate partigiane che combattevano contro i tedeschi (i quali, nel frattempo avevano invaso la Penisola per tenere, da un lato, lontani gli Alleati dai confini del Reich e dall’altro per dare una “lezione” agli italiani che, dal punto di vista teutonico, erano considerati “traditori”). Altro motivo di distinguo manifestato dei militanti dei gruppi di estrema destra nasce dal ritenere l’interpretazione storica di quelle vicende non troppo aderente al vero, anzi mistificata e falsificata a scopo politico e propagandista, da chi vorrebbe fregiarsi del merito esclusivo di aver liberato il Paese dai nazisti e dai fascisti. Un merito che, invece, andrebbe attribuito alle forze anglo-americane sbarcate in Sicilia e poi a Salerno, proprio per sconfiggere le truppe dell’Asse. Insomma: una celebrazione oltre che edulcorata in favore dei partigiani, utilizzata in favore delle sinistre che la piegano per i propri contingenti scopi politici. In buona sostanza si tratta di una doppia contestazione sia sul piano della verità storica sia su quello della pari dignità tra i caduti italiani che, durante la guerra civile, immolarono comunque la propria vita per le rispettive idealità, giuste o ingiuste che queste fossero. Molti (non tutti ovviamente) di quei giovani, infatti, aderirono alla Repubblica di Mussolini perché ciecamente “credenti” in lui, convinti dall’idea che l’uomo di Palazzo Venezia aveva fondata ed ossessivamente imposta nei vent’anni di regime: la grandezza della patria, i destini dell’impero rifondato sui Colli di Roma. A questi si aggiunsero poi altri uomini convinti che per un mero fatto di coerenza, si sarebbe dovuti rimanere al fianco degli alleati della prima ora, senza macchiarsi dell’infamia del “voltafaccia”, passando addirittura dalla parte del nemico (gli anglo-americani). In tale clima di odio e di impietosa discriminazione si rinnova, dunque, di anno in anno, il corso delle celebrazioni del 25 aprile in quella che per alcuni appare come una narrazione della storia messa al servizio delle convenienze dei vincitori e di quanti hanno abiurato alla fede ed alla coerenza di certe scelte fatte in precedenza. Scelte che pure venti milioni di fascisti avevano inizialmente accettato ed applaudito. Uomini e donne che, per un ventennio, avevano marciato, petto in fuori, innanzi al Duce e che ora, come per magia, si trasformavano in accaniti anti fascisti come nella più infima pagina del trasformismo e dell’italico opportunismo. Tuttavia, fermo restando il rispetto per i morti di entrambe le sponde e la comprensione per le decisioni prese dai giovani di quel tempo, la Storia, quella con la “S” maiuscola, resta sostanzialmente quella che vide il popolo della Penisola ribellarsi alla dittatura ma sopratutto disilluso dalla miserrima fine di un regime apologetico ed enfatico che aveva determinato lutti e devastazioni con l’entrata in guerra. Che gli aderenti alle forze partigiane fossero guidati da uomini che avevano patito il carcere e l’esilio è un dato incontrovertibile, così come vere furono la superiorità morale e politica di quelli che combatterono per riconquistare le libertà civili e politiche conculcate dal Fascismo. Celebrare e commemorare queste motivazioni ideali e quanti versarono il proprio sangue per difenderle è non solo giusto ma anche doveroso. E dovrebbe esserlo a maggior ragione per coloro che, pur avendo optato per la controparte repubblichina in quei giorni terribili e caotici, godettero, in seguito, dei diritti e delle libertà garantite dalla neonata repubblica italiana. Celebrare, però, non significa mistificare la vera storia né asservirla ai calcoli politici di questi giorni. Un’enfasi da evitare se mirata a rinfocolare odio e non a celebrare l’evento storico e patriottico. Se tutt’ora la faziosità persiste, in questi giorni, si finisce per strumentalizzare le cose e le si esaspera, gridando alla dittatura, con l’episodio che ha visto protagonista lo scrittore Antonio Scurati. Quest’ultimo “oscurato”, a quanto pare, da un programma di Rai Tre dove avrebbe dovuto “recitare” un ricordo del 25 Aprile commemorando un martire del Fascismo come Giacomo Matteotti. Sembra infatti (il condizionale è d’obbligo) che lo scrittore pretendesse un cachet di 1.800 euro per un solo minuto di monologo!! A quelli che oggi starnazzano strumentalmente ed invocano libertà occorre ricordare che la commemorazione di un sacrificio richiederebbe la gratuità dell’opera. Non fosse altro perché in Italia siamo già pieni di storici organici ai partiti, interessati e spesso prezzolati!!

*già parlamentare