“ROMANTICHE”: LE QUATTRO PROVE DA PROTAGONISTA DI PILAR FOGLIATI, PRIVE DI EGOCENTRISMO  

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di Mariantonietta Losanno 

È un’attitudine – forse innata (?) – quella di essere a proprio agio in ruoli e contesti diversi. Sapersi plasmare, anche a seconda di chi si ha di fronte. Spesso modificando anche il tono o l’intensità della voce o rendendo meno marcata la flessione dialettale. Pilar Fogliati un po’ ce lo insegna nella sua opera prima (scritta a sei mani con Giovanni Veronesi e Giovanni Nasta, con quattro protagoniste e un unico volto), “Romantiche”, che – finalmente – riprende quel filone comico degli anni Ottanta dal sapore Troppo forte o Un sacco bello.   

Quattro donne diverse nella stessa Roma: Pilar dà corpo – e soprattutto voce – a personalità differenti, che raccontano (senza esasperare eccessivamente) quattro spaccati della realtà. C’è l’aspirante sceneggiatrice palermitana (Eugenia Praticò, forse quella a cui ci si affeziona di più) che spera di far produrre il suo copione “Olio su mela”, l’aristocratica (con un nome di tutto rispetto, Uvetta Budini di Raso) che non conosce il lavoro se non quello che dura quattro o cinque giorni, come il tempo di una vacanza. Poi c’è la ragazza di provincia ingenua e antica, che si fida più della Fede che della psicoterapia, e infine la pariolina aggressiva – quella che vorrebbe mostrarsi come la donna di mondo – che può dare consigli a tutte le sue amiche per fregare un uomo, mentre è lei stessa ad essere fregata. 

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Ci sono tutti gli elementi per empatizzare con almeno una di loro, se non con tutte e quattro. Empatia incoraggiata anche dall’atteggiamento spigliato di Pilar, che non ha bisogno di essere fuori dalle righe come le sue quattro versioni in scena. Perché li possiede tutti, quei colori e quelle sfaccettature che connotano i suoi personaggi, ma non sente il bisogno di ostentare. Si assiste – quindi – divertiti alle sue sfilate, che incoraggiano anche una discussione di carattere antropologico su quella che è una realtà sociale (più che) conosciuta, sicuramente accentuata dalle mode, da tutto quello che è virale. Le quattro storie, infatti, vengono introdotte dai post di Instagram, per restare in tema viralità. A tenerle unite, poi, ci pensa Barbora Bobulova che interpreta una psicoterapeuta, presenza essenziale per tutte e quattro le protagoniste. Forse è anche un modo – più o meno consapevole – per insistere sull’importanza della salute mentale? Perché, in effetti, Pilar Fogliati cerca di toccarli tutti i temi più importanti – non solo quelli che le stanno a cuore – allargando il discorso, così da rendere le quattro storie più esaustive possibili. Ed è in questo che riesce, eleggendosi (senza arroganza, ancora) come icona generazionale e potenziale protagonista di un progetto molto più ampio, orientato a dare nuovo impulso al cinema italiano. Pretese alte, ma che male c’è?

È una grande dimostrazione di umiltà dominare completamente la scena senza essere mai egocentrica. Si potrebbe dire che è una qualità che hanno solo gli artisti, non per forza quelli grandi, ma anche quelli di appena trent’anni.